Monumento di Bisagno a Fascia (foto tratta da Wikipedia)

Il 25 aprile e la Liberazione senza retorica

Matteo Matzuzzi

Aldo Gastaldi “Bisagno”, il primo partigiano d’Italia che anteponeva l’uomo all’ideologia. Fino alla fine

Roma. Raccontare il 25 aprile senza il profluvio di retorica cui l’Italia divisa tra guelfi e ghibellini è abituata da settant’anni è possibile, se si va alla radice, al cuore di quell’avvenimento che fu la Liberazione. La via d’uscita dal ginepraio in cui inesorabilmente ci si va a infilare, tra coloro che rimpiangono quando i treni arrivavano in orario e quelli per cui vale solo cantare e ricantare Bella ciao, è data come sempre accade dalle storie di uomini e donne che quei fatti li hanno vissuti. La memoria vivida e la testimonianza diretta raccontano più di quanto possano fare saggi pur impeccabili e film dove i migliori registi tentano di ricreare ambienti e scene il più possibile aderenti alla realtà che fu. C’è una figura mitica, addirittura quasi mitologica, che aleggia sulla lotta di liberazione. E’ quella di Aldo Gastaldi, nome di battaglia Bisagno, il “primo partigiano d’Italia” che partito dai dintorni di Genova finirà la propria breve esistenza – morì a 24 anni – nei pressi di Desenzano del Garda. E’ a lui che è stato dedicato “Bisagno”, il film di Marco Gandolfo prodotto da Itaca (libro+dvd, 18 euro), che racconta una storia diversa dalla solita che tanto spazio ha trovato sui libri e nei documentari tipici di giornate come quella di oggi. Ha ragione Daniele Bardelli, docente di Storia all’Università Cattolica, quando scrive che a questo film “va forse un po’ stretta la specificazione di ‘documentario’, per quel didatticismo che la parola evoca e nel quale invece il lavoro di Marco Gandolfo non cade, costruendo la narrazione essenzialmente attraverso testimonianze”. E’ molto di più di un freddo documentario, questo.

 

E’ un film la cui presentazione è affidata a un libro che fa calare perfettamente il lettore e lo spettatore in una realtà che è vissuto nostro, dell’Italia, di quel “Mondo migliore” che si voleva costruire e che altro non significava se non “vivere in una società che riconoscesse le esperienze del nostro passato nella Storia, nella grandezza dello spirito umano e nei princìpi morali della nostra cultura, e che proprio per questa serietà di princìpi avrebbe attuato l’ideale democratico”, come scrive nella prefazione Paola Del Din, la partigiana “Renata” della Brigata Osoppo. Chi era, cosa ha fatto, perché Bisagno fosse così amato dai suoi uomini è ben rappresentato e descritto nel film. Al centro, la voce di chi con lui condivise quei mesi. Nessuna voce fuori campo, nessun intervento esterno a spiegare, parafrasare, esplicitare quanto i custodi di quella storia hanno detto. Non ce n’era bisogno, dopotutto. Le parole degli intervistati, protagonisti di quell’avvenimento che fu la lotta per la libertà al fianco di Bisagno – uomo di poche parole ma di grande lealtà – bastano a rendere giustizia alla figura di quest’ultimo. Libertà: “Per lui la libertà e la verità dovevano coincidere”, dice Elena Bono, la cui intervista è una sorta di filo conduttore al racconto. Una libertà, la sua, “fondata sulla verità, non sulla menzogna, non sui miti”.

 

Ed è questo che resta, alla fine, dalla visione del film o dalla lettura del libro. Il ritratto di un uomo che viveva per un Altro: “C’era qualcosa di straordinario in Aldo Gastaldi che colpiva quelli che lo incontravano. Questa eccezionalità veniva dal suo amore per Gesù. Era come una luce che affascinava allora i suoi compagni e che affascina noi oggi”, scrive Emilio Bonicelli. Dopotutto – nota il prof. Danilo Veneruso, nel saggio contenuto nel volume che accompagna il dvd – “i princìpi che egli ha cercato di realizzare nella sua vita sono quelli di un cristianesimo tramandato e vissuto in una famiglia che non lo considera come un’etichetta, come un segno da imprimere su una condizione sociale, o come un riempitivo, perché a qualche cosa o a qualcuno bisogna pur appartenere”. Le lettere del “tenente” sono uno strumento prezioso per avvicinarsi a lui, a quel che pensava, alla rettitudine morale che – come in ogni uomo – incontrava anche dubbi, tensioni, momenti oscuri. Come quando confessa a un foglio di carta, con calligrafia ordinata e regolare, il suo struggimento nel vedere partire per il fronte i suoi soldati, con il rimorso di essere lui rimasto a casa. Ma, affidandosi a Dio che “disporrà di me come vorrà”, si dice in pace con la propria coscienza. Consapevole di aver fatto il proprio dovere e di non essersi mai nascosto, come pure tanti facevano, chi per paura, chi per motivi ideologici. Non l’avrebbe fatto neanche dopo l’8 settembre, quando i tedeschi iniziarono la vendetta contro gli italiani traditori, tra rappresaglie e rastrellamenti, con la caccia al nemico praticata ovunque e con ogni mezzo. I suoi amici consigliarono a Bisagno di togliersi i gradi militari dalla regia divisa, ma lui rifiutò: “Sono io il responsabile: è me con me che dovranno avere a che fare”. Aldo Gastaldi era “l’uomo che partecipava al sacrificio degli altri”, in tutto e fino alla fine.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.