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Dove va la tv?

Marianna Rizzini

Salvare l’informazione ai tempi dell’on demand e dello stallo politico. Il caso di “Petrolio”

Roma. La stagione elettorale in tv non è finita con le elezioni, visto lo stallo sulla formazione del governo. Ma la televisione d’informazione sta già cambiando animo e pelle: è diventato più difficile, infatti, sui canali generalisti, ideare programmi che catturino l’attenzione di un pubblico ormai abituato, almeno nella sua componente più giovane, a scegliere prodotti diversi dai talk show, spesso su pay tv e on demand. Ed è forse anche per questo che la tv generalista, in questo caso Rai1, si è messa a cercare formule diverse per l’informazione. In alcuni casi funzionano già da tempo. Lo dimostra la piccola storia di “Petrolio”, il programma di inchiesta-approfondimento condotto da Duilio Giammaria che dal 2013, come si legge nella presentazione, cerca di “analizzare e valorizzare le ricchezze che l’Italia possiede… i tesori artistici e culturali, le capacità imprenditoriali e i talenti che aspettano solo di essere utilizzati… di essere ‘estratti’ come se fossero appunto il petrolio”, ma che negli ultimi mesi, proprio in concomitanza con la campagna elettorale, ha sperimentato prime serate “per temi”, nonostante la non semplice collocazione del sabato sera, mandando in onda puntate-dossier che restano in qualche modo aperte e aggiornabili (ci sarà anche una nuova doppia prima serata a giugno, in parte centrata sul traffico internazionale di opere d’arte).

  

“Petrolio” è la trasmissione che il presidente dell’Anac Raffaele Cantone ha recentemente lodato su Repubblica (“un buon giornalismo d’inchiesta è fondamentale… vedi il caso della trasmissione ‘Petrolio’ che ha fatto emergere gravi vicende nel settore sanitario”) e che Gian Antonio Stella, sul Corriere della Sera, ha citato come punto di partenza per nuove indagini sulla malasanità (liste d’attesa monstre e bustarelle). Poi ci sono gli ascolti: l’anno scorso (stagione 2016-2017) “Petrolio” è rimasto stabilmente sopra il 10 per cento di share. Quest’anno, pur avendo cambiato collocazione, è arrivato al 7 per cento e oltre in più occasioni, per esempio per la puntata sul caso “Embraco”, l’azienda brasiliana del gruppo Whirlpool che delocalizza in Slovacchia – occasione per raccontare il sistema industriale del paese, da nord a sud. Ma ci sono state anche puntate molto seguite sulla “passione rossa” (il pomodoro come cibo “globale” e centro di una filiera di produzione miliardaria), sugli attacchi alla rete, sui terremoti e sulle polveri sottili.

  

Qual è il metodo e quale l’idea di fondo? Dice Giammaria: “Petrolio nasce dallo stato d’animo un po’ da ‘Candide’ di chi guarda il paese da fuori, come un astronauta, con un senso di straniamento, cosa che a me in passato è capitata spesso, essendo stato a lungo inviato di guerra. E guardando l’Italia da fuori pensavo: come siamo fortunati, abbiamo la pace, abbiamo la libertà, potremmo essere molto più felici di quello che siamo. Da lì l’idea di far vedere i tesori nascosti o dimenticati. La prima puntata, non a caso, era su Pompei. Poi nel tempo siamo diventati più specificamente ‘indagatori’. Mi piace che chi ci guarda pensi: non vogliamo imbrogliarvi, vogliamo raccontare la realtà”. La notizia, dice Giammaria, “in alcuni casi bisogna provocarla, e prevenire anche la politica. Specie su temi apparentemente messi in secondo piano, come quelli scientifici, o su argomenti che sembrano di nicchia, ma che ci riguardano tutti. Mi piace che il pubblico, alla fine della puntata, possa dire: bene, ho capito qualcosa”. Raccontare, quindi, ma come? “Penso si possa farlo con serenità, senza nascondere nulla, evitando di disegnare preventivamente figure di colpevoli o innocenti. Durante la campagna elettorale abbiamo scelto temi non al primo punto del dibattito, ma che interessassero a noi, a chi vota. Abbiamo girato la telecamera verso noi stessi”. Se la puntata-inchiesta è ben fatta, dice il conduttore di “Petrolio”, “dura nel tempo e può creare un valore economico aggiunto. Non a caso, oggi, anche le piattaforme digitali investono sui prodotti di approfondimento”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.