Questo articolo, dunque, non è un avvertimento per i millennial, ma per i loro successori, i nati dopo il Duemila, la generazione Z (foto LaPresse)

Ragazzi, quando un vecchio criticherà i “giovani d'oggi”, voi citate Boccaccio

Eugenio Cau

Un avvertimento alla generazione Z

Roma. I millennial l’hanno quasi scampata. I membri più anziani della generazione del millennio (i nati tra il 1981 e il 2000) hanno superato i trent’anni, non possono più essere considerati giovani, e stanno uscendo lentamente dall’interesse dei media, degli psicologi da due soldi e dei commentatori da salotto. Nel corso dell’ultimo decennio, ogni indagine sociologica e ogni articolo di giornale sui millennial è stato un massacro. Pigri, viziati, svogliati, sdraiati, incapaci di prendersi responsabilità, dotati di una soglia d’attenzione da invertebrati: è da anni che tutte le volte che un non millennial esprime la sua opinione sui millennial finisce in una gragnuola di attacchi o di osservazioni pelose. L’aggettivo più duro di tutti l’hanno trovato gli americani, e condensa in una parola un concetto complesso come solo la lingua inglese sa fare. I millennial sono entitled, termine che non ha traduzione letterale ma significa: questi giovinastri pretendono di avere tutti i diritti senza essersi meritati niente. Questo è ciò che il mondo occidentale ha pensato dei millennial, la peggiore generazione di sempre, negli ultimi anni.

 

Ormai è passata, per fortuna. Perfino i millennial sono diventati grandi.

 

Questo articolo, dunque, non è un avvertimento per i millennial, ma per i loro successori, i nati dopo il Duemila, la generazione Z: ragazzi, sta arrivando anche per voi. Aspettate soltanto che i primi tra voi escano dall’università (manca poco: i 2000 hanno 18 anni) e vedrete come i media e i salotti tv vi ridurranno a brandelli. Siete la prima generazione di veri nativi digitali, vi tratteranno come zombi da smartphone, anche voi sarete considerati pigri, ottusi, incapaci di prendervi le vostre responsabilità. E ad attaccarvi, probabilmente, saranno proprio i millennial, passati nel frattempo dall’altra parte della barricata.

 

Succederà senza dubbio, la retorica anti giovanile è perenne e inevitabile, specie in una società che invecchia. E’ meglio prepararsi.

 

Per esempio, potreste consigliare ai vostri detrattori la lettura di “A Message to Garcia”, un pamphlet scritto quasi 120 anni fa (era il 1899) dallo scrittore americano Elbert Hubbard. Il testo di poche pagine è stato rispolverato questa settimana da John Tamny, che ne ha parlato sul Wall Street Journal. Hubbard usa come pretesto un episodio della guerra tra Stati Uniti e Spagna per dire che i “giovani uomini” d’oggi avrebbero bisogno di “una bella raddrizzata”, perché i ragazzi che si affacciano sul mondo del lavoro soffrono dell’“incapacità o scarsa volontà di concentrarsi su una cosa e di farla” e vivono in un mondo in cui “la disattenzione imbecille, la scialba indifferenza e il lavoro svogliato sembrano la norma”. Ricorda qualcosa?

 

L’attacco di Hubbard ai giovani rimase popolare negli Stati Uniti per decenni, e negli anni Venti fu molto elogiato da Henry Ford, che lo usò per criticare i giovani del suo tempo, anche loro svogliati e disattenti – sempre le stesse critiche. Poco importa che i giovani americani del tempo di Ford, quelli che hanno superato la Grande depressione e vinto la Seconda guerra mondiale, sarebbero stati definiti a posteriori come la “Greatest Generation”.

 

Tamny cita altri esempi, per esempio le critiche che negli anni Novanta del secolo scorso furono rivolte alla generazione X, ma noi possiamo andare ancora più indietro – molto più indietro. Prendete Giovanni Boccaccio.

 

Da giovane, il grande letterato generò scandalo con le sue opere, ma da vecchio si trasformò in un critico spietato della gioventù. In un passo del suo Commento alla Divina Commedia, databile intorno al 1373, il sessantenne Boccaccio attacca i “giovani moderni”, vanitosi, senza pudore e “infermati” (sarebbe: rammolliti) dalle “troppe delicatezze”. Sembra di sentire un sociologo dei nostri giorni che parla preoccupato dei ragazzi viziati dal lassismo dei costumi e incapaci di spirito di sacrificio. Peccato che Boccaccio parli così duramente della generazione che ha posto le basi del Rinascimento.

 

A cosa servono tutti questi racconti? A definire un punto molto chiaro, che è quasi una costante storica. Quando un vecchio critica le generazioni nate dopo di lui, e specie quando questo avviene per grandissime generalizzazioni, il difetto è sempre nel punto di vista di chi critica, non nei giovani. I millennial si sono difesi come hanno potuto, ma adesso che il testimone sta per passare di mano è meglio che le prossime vittime, i ragazzi della generazione Z, si preparino con qualche arma retorica in più. “A Message to Garcia” e Boccaccio sono un buon punto di partenza.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.