Renzo Arbore (LaPresse)

Il capello dell'imbarazzo

Michele Masneri

Trovata (forse) la proteina che corregge il colore dell’età. In attesa di conferme, l’uomo grigio può continuare a sottoporsi al “ritocchino”, che non rende però sempre felici. Parola di tinto pentito

Ci risiamo: anche questa volta puntuale arriva la notizia: trovata la molecola (o il gene, o la proteina), che elimina il capello bianco: è dunque questione di anni, mesi, giorni. Questa volta sarebbe l’università del Texas ad aver identificato il sacro graal pilifero, questa volta la proteina KROX20, responsabile della pigmentazione del capello. E’ notizia degli ultimi giorni: esperimenti consueti sui topi hanno confermato: quando i ricercatori hanno rimosso le cellule che producono la KROX20, i topi medesimi sono imbiancati.

 

Saremo forse dunque l’ultima infelice generazione di maschi canuti, ci viene ripetuto ancora una volta. Ma bisognerà crederci? Puntualmente l’uomo in grigio e il suo simmetrico esistenziale, l’uomo tinto, vengono illusi da queste notizie. L’ultima volta era la molecola IRF4, due anni fa, che avrebbe dovuto interrompere le sofferenze, e poi non è successo niente. L’uomo grigio e l’uomo tinto continuano la loro vita di umiliazione. L’uomo grigio è un tinto riluttante; l’uomo tinto è un ex grigio colpevolizzato dalla società. Anche un portavoce della canizie globale (versione bianco-candido, sono una nicchia) come Anderson Cooper, due anni fa rivelò di trovarsi malissimo. “Se potessi vorrei tornare a essere castano. Nella mia testa sono ancora castano, e quando mi guardo allo specchio penso: ma chi è questo vecchio? Dovrei tingermi, certo, ma non riesco a immaginarmi in un salone di bellezza con i capelli avvolti nell’alluminio per ore”.

 

Avere i capelli grigi non è bello, è tollerabile solo se su bellissime facce, e con chiome folte. Altrimenti, ci si sente morire. Assai dolcemente

Avere i capelli grigi non è bello. E’ tollerabile solo se su bellissime facce, e con chiome folte. Altrimenti, ci si sente morire. Assai dolcemente. Il grigiore avanza ambiguo, a fasce, con la mossa del cavallo (spesso prima ai lati, poi sopra). Lentamente, e poi tutto insieme. Prima della testa tutta grigia ci si ritrova una chioma marmorizzata come un plum cake: e quando il grigiore avrà conquistato l’intera area, si spera d’aver avuto abbastanza tempo per accettarlo. Si ha poi un bel dire che il grigio piace alla signora, poiché indurrebbe a credere con antichi meccanismi maturità e magari cash: è tutto da dimostrare, mentre è assodato che all’uomo il grigio proprio repelle, sia nella signora che nel signorino (a parte la nicchia daddy, ma è appunto una nicchia).

 

Finire nel tunnel della tintura è più facile di quanto si pensi (inizio di una tragica confessione personale). Superati i trenta, cominciarono i capelli grigi sulle tempie: dopo qualche tempo, il barbiere di via dei Serpenti efferato cominciò a titillarci se volevamo per caso “un ritocchino”: il barbiere era un settantenne coi jeans di pelle e la chioma mogano, che calava dalla Tiburtina con uno scooterone nero, e combatteva una sua personale battaglia contro l’invecchiamento e contro il fisco: mai fatto una ricevuta in dieci anni che si frequentò il suo negozio. Aveva sciampiste dell’est che cambiavano in continuazione e dava a intendere che gli si concedessero: teneva caramelle Cedrinca (quelle a forma di fettina di limone) appiccicose e vecchie accanto alla cassa. Maltrattava un inserviente anziano. Era insomma antropologicamente repellente, e il ritocchino a cui mi aveva poi lentamente convinto mi costringeva a una penosa complicità. Passavano gli anni, era stato costretto a installare il Pos e io soddisfatto pensavo che la sua guerra fosse persa, invece lui orgogliosamente diceva “e che problema c’è”, strisciava la carta e continuava a prendersi i suoi 40 euro (20 per il taglio e 20 per il ritocchino) in nero, fino a convincermi che la battaglia fosse giusta, sia quella fiscale che quella contro il capello grigio. Il rito era sempre uguale, “il solito ritocchino?” diceva, con lo sguardo sulfureo. Io rispondevo di sì, lui miscelava quei misteriosi elementi in una specie di bacinella e poi me li spalmava in testa, e a quel punto rimanevo immobile con quella miscela sui capelli, sperando che nessuno mi vedesse.

 

Ogni tanto entravano delle turiste a chiedere un’informazione e lui col suo capello color mogano, su cui testava i ritocchini, rispondeva in inglese sordiano, “yes miss, all set miss”, e raccontava che da giovane aveva lavorato a Cinecittà (mi aveva detto anche di essere stato il barbiere personale di Carmelo Bene, le descrizioni coincidevano, la via, non lontano, la stessa di Christian De Sica, e la tinta del Maestro avrebbe dovuto mettermi in guardia).

 

Zia A. mi guardò dal basso in alto, concentrandosi sull’alto, e non disse nulla, smise solo di sorridere per un attimo. Aveva capito

Deposta sulla mia testa la miscela del ritocchino usciva fuori sulla soglia del negozio a fumare una sigaretta, una Marlboro rossa, col fumo che rientrava tutto dalla porta e si mischiava all’odore d’ammoniaca del ritocchino. A volte però l’attesa cresceva, perché lui incontrava qualche conoscente o amico, oppure approfittava e andava al tabaccaio a pagare una bolletta, e lì cominciava l’ansia perché più la mistura rimaneva e più il colore permeava la mia cute, e talvolta mi era parso di guardarmi allo specchio ed essere l’allora presidente del Consiglio Berlusconi. Lui poi tornava, e finalmente diceva: “Laviamo”. Di fronte alle mie rimostranze sul troppo tempo del ritocchino diceva convinto: “Sinnò è sprecato, Miché”, e ogni volta dovevo combattere questa piccola battaglia psicologica, “secondo me ci siamo”; “noo, e che ci siamo?”, protestava. A volte invece era lui a rientrare prima del previsto (o almeno dal tempo psicologico mio, poiché non porto orologio; il tempo del ritocchino era un tempo dilatato, che sfuggiva alla fisica), e allora ero io a pensare che non avrebbe fatto effetto, il ritocchino (“nun attacca”, diceva lui).

 

La mia vita da tinto era una seconda identità che non svelavo a nessuno, c’era la mia vita normale e poi c’era la mia vita da tinto, ero un Charles Swann della tintura. Il mondo della mia vita e il mondo dei miei capelli non sarebbero mai entrati in contatto. A volte però accadevano cortocircuiti. Mia zia A., che ha sempre avuto un’idiosincrasia per le tinte di capelli, e un amore illimitato per me, un giorno mi guardò dal basso in alto, concentrandosi sull’alto, e non disse nulla, smise solo di sorridere per un attimo. Aveva capito.

 

Lo stigma che colpisce l’uomo tinto non esiste per la donna. “Guarda, è tinto!” continua a essere usato da entrambi con cattiveria

Talvolta la composizione chimica del ritocchino cambiava, impercettibilmente. Cambiava odore, sapeva più d’ammoniaca. Il barbiere efferato diceva che assolutamente no, era sempre lo stesso. Ero in sua completa balìa. L’uomo tinto è sempre in balia del suo tintore: complice lo stigma sociale, come negli antichi aborti con la mammana. L’uomo tinto striscia radente i muri fino al suo tintore-persecutore.

 

Un’altra volta, mentre ero a testa in su ad aspettare che il barbiere fumasse la sua sigaretta, entrò una mia collega, si sedette, cominciò la lunga procedura per tingersi anche lei, e mi guardò, forse fu solo un’impressione ma rimasi vergognosamente lì, in balìa sua. Non c’era solidarietà nel suo sguardo ma divertita sorpresa, e scherno.

 

Tingersi i capelli è una di quelle attività che ti fa soffrire ma alla lunga ti rafforza. Ti espone a una serie di violenze che altrimenti eviteresti. (“è tinto o non è tinto?”, è uno dei giochi preferiti in società, tra le signore, e tra gli uomini soprattutto ex tinti. Una crudeltà che alle signore è risparmiata).

 

Il fatto è che lo stigma che colpisce l’uomo tinto non esiste per la donna. Tingersi invece dovrebbe essere considerata un’attività femminista, una di quelle attività che avvicina l’uomo alla sofferenza femminile: la ricrescita, la necessaria costante manutenzione, il giudizio sadico-estetico degli altri. Le donne dovrebbero essere solidali con gli uomini tinti. Donne e uomini dovrebbero scendere in piazza insieme in un grande Pride del capello tinto. Invece: “Guarda, è tinto!”, continua a essere usato da entrambi con cattiveria: come se colorarsi i capelli avesse un’implicazione morale.

 

L’uomo tinto soggiace infatti a piccoli sadismi. Sempre vita vissuta: una volta si andò a un premio Strega, nel solito catino arroventato del Ninfeo di Villa Giulia: è sempre a luglio, e l’estate doveva aver cominciato il suo tragico lavorìo sulla cute dei tinti, col duplice effetto del sole e dell’acqua di mare che portano al terribile viraggio verso l’arancio; e incontrai una ragazza che lavorava in una casa editrice. Per levarsi dall’imbarazzo di uno small talk di quelle tragiche occasioni di mondanità letteraria, o forse per sadismo, perché non l’avevo mai considerata, aveva pensato bene di dirmi, “ma sei cambiato”. Cambiato come? “Non lo so, sei più biondo”, io avevo risposto quasi balbettando che era l’effetto dei riflettori, lei aveva insistito, “no, proprio biondo”, io avevo inserito l’accaduto nella mia specialissima lista delle umiliazioni da vendicare (l’uomo tinto diventa esperto anche di tragiche bugie: sai, da bambino ero biondissimo, ho le foto).

  

La tintura da supermercato non porta risultati diversi da quella dei costosi barbieri. Un dettaglio provoca il raccapriccio

E’ chiaro che ci potrà essere assoluta parità tra i sessi solo quando l’uomo avrà le stesse possibilità di tintura della donna. E’ il #MeToo del capello; e forse col venir meno dello stigma anche la tecnologia finalmente potrà trovar sfogo in nuance realistiche. L’uomo tinto infatti è accomunato oltre che dallo stigma da una livella del pantone, il capello tinto è democratico: se la signora abbiente si riconosce per la perfetta coloritura che la contraddistingue dalla casalinga proletaria, il maschio tinto a reddito zero avrà le chiome comunque dello stesso colore del tycoon abbiente: la tintura da supermercato non porta risultati diversi da quella dei costosi barbieri. Il magnate siliconvallico Peter Thiel, fondatore di Paypal, uno che si nutre solo di semi e vive in camera iperbarica, ha poi le stesse chiome color mogano di un camionista del Midwest. Che aspetta la ricerca, che ci sta a fare la Silicon Valley? Abbiamo portato la Tesla in orbita, non possiamo fare un castano non metallizzato? Il mercato globale del capello tinto vale 29 miliardi di dollari secondo il fondamentale studio “Global Hair Color Market 2015-2022” di Technavio (ma quanto potrebbe crescere con la ricerca e buoni colori maschili? Vogliamo le migliori intelligenze italiane a studiare, pensiamo alle ricadute in termini di occupazione, per non dire di umore del sistema-paese).

 

In attesa della molecola KROX20 che abolirà per sempre il grigiore, vorremmo insomma non dover scegliere se essere volpi argentate o testa di moro. Forse un giorno ci ricorderemo delle sofferenze gratuite del capello come di quando si fumava al cinema o si moriva di vaiolo. Smettere di tingersi è possibile, ma non è facile. Un’estate, l’amica del cuore C., al mare, ci convocò grave. Dobbiamo parlare. Si era ospiti da lei, ci fece sedere, disse qualcosa come: ci ho pensato molto ma devo proprio dirtelo. Si temette il peggio. Poi disse: “Sono arancioni”. Erano, naturalmente, i capelli: che col sole e il sale di Sabaudia avevano virato al rame (ma il tinto non vuole vederlo, il tinto vive nella negazione). Lei ci aveva pensato molto prima di parlare, perché il capello tinto (in un uomo) è argomento delicato. Come se fosse una malattia mentale, come dirti “hai bisogno di aiuto”.

 

Ma non fu l’episodio di Sabaudia a farmi uscire dalla tintura. Passata l’estate, si ritornò dal barbiere efferato, e un dettaglio – sono sempre i dettagli che ti fanno capire che qualcosa è finito per sempre – provocò in me il raccapriccio: avevo pagato, avevo fatto i consueti saluti, quando notai che il barbiere efferato aveva preso il pennello immerso nei rimasugli del mio ritocchino, e con quello si era dato una bella pennellata alle sopracciglia, poi rimirandosi soddisfatto nello specchio: l’idea che lo stesso fluido delle nostre chiome finisse accomunato all’orrenda vanità di quel macho da scooterone, mi aveva disgustato. Non si andò più dal barbiere efferato, si lasciarono crescere le chiome grigie, ci si rassegnò. Divenuti uomini grigi, ci si rifiutò però sempre di entrare nella compagine di quelli che stanano gli uomini tinti, con lo zelo dei convertiti.

 

L’amica C. dice che sto benissimo. L’amica C. recentemente ha cambiato parrucchiere, ed è andata dal carissimo Roberto D’Antonio, a Roma. Spende molto, e lui le ha fatto un colore stupendo. La sua vita è molto migliorata. A noi maschi questa felicità è tutt’ora negata.

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