La manifestazione dopo la sparatoria a Macerata. Foto LaPresse

Il cuore a destra e il portafoglio a sinistra

Manuel Orazi

Macerata è diventata il vaso di Pandora di una intera nazione coi nervi a pezzi. Ma il business dell’accoglienza non riguarda solo le Ong e non ha un'appartenenza politica 

Nell’impazzimento generale Macerata è diventata il vaso di Pandora di una intera nazione coi nervi a pezzi. Se vista dall’estero l’Italia va bene in economia, torna a essere attrattiva per gli investimenti, viene giudicata positivamente per come ha gestito la crisi dei migranti, con i reati che sono in calo, all’interno avviene tutto il contrario. Precariato, declino, paura, sfiducia su tutto e su tutti. “Ha una tale sfiducia nel futuro che fa i suoi progetti per il passato” scriveva Ennio Flaiano settant’anni or sono, ed ecco allora riemergere la lira, i dazi, persino il servizio militare, l’esercito nelle strade e la razza bianca, piemontese, chianina o marchigiana che sia. Flaiano, che frequentò il Convitto Nazionale di Macerata e poi studiò architettura a Roma, è lo stesso autore della sentenza riemersa oggi prepotentemente, “C’è un sacco di gente che vive e lavora a Macerata (l’essenza di Cechov)” che, volendogli obbedire fino in fondo, si potrebbe applicare anche a quello spostato di Luca Traini: un caso estremo, certo, ma che forse si può aggiungere idealmente alla lista dei tanti protagonisti cechoviani, uomini frustrati, incompresi, vittime di equivoci, illusi che si autoingannano e aspirano a un mondo diverso che abbondano in ogni provincia italiana. E infatti Traini si è tatuato sulle nocche della mano la scritta outcast, emarginato.

   

Macerata è il vaso di Pandora italiano dunque, nonostante non abbia periferie degradate né ghetti e quindi la pazzia armata solitaria sarebbe potuta capitare dovunque, tanto più che il tasso di immigrazione nelle Marche è nella media nazionale e l’integrazione è molto buona grazie al lavoro degli stranieri nelle piccole e medie imprese manifatturiere di questo territorio come iGuzzini illuminazione, Cucine Lube, Tod’s, Poltrona Frau, Nuova Simonelli e tante altre PIM. Insomma gli stranieri sono integrati e i neofascisti sono emarginati.

  

E invece no, “Macerata, Alabama” titolava il Corriere della Sera, l’invasione è alle porte e la Spectre che trama nell’ombra è il Gus, il Gruppo di Umana Solidarietà, la Ong dietro la quale si celerebbe Laura Boldrini (nata, manco a dirlo, a Macerata) e che ora è nel mirino della destra locale perché è la principale istituzione che gestisce i richiedenti asilo e i migranti da queste parti. Ora, al di là della Boldrini che è assurta a feticcio del politically correct e non ci interessa qui, è necessario far emergere alcuni fatti poco noti, ma molto significativi più che il bilancio del Gus – che peraltro gestisce in gran parte fondi europei e dà lavoro a molti ragazzi bianchi di pura razza marchigiana. Ad esempio è noto che Traini fosse vicino a Forza Nuova, il dente di lupo tatuato sulla tempia era infatti il simbolo di Terza Posizione creata negli anni ’70 da Roberto Fiore, dominus di FN. Inoltre, Paolo Bernabucci, direttore del Gus, conferma che il fratello di Traini, Mirko, di professione caldaista con officina a Corridonia (il comune limitrofo dove Luca si è candidato con la Lega nel 2017 e dove la presenza di immigrati è più alta), lavora ogni anno in tanti appartamenti affittati agli immigrati seguiti dall’ente maceratese. Bernabucci conferma anche che molte abitazioni di proprietà del marchese Gianfranco Luzi nel comune di Treia, limitrofo al capoluogo, ospitano decine e decine di extracomunitari seguiti dal Gus e solo a causa di un esposto del sindaco di Treia, Franco Capponi, il numero è stato ridotto – il marchese ne avrebbe voluti di più. Il fatto è avvincente perché Luzi, sorta di marchese del Grillo locale, amante delle osterie e della compagnia, ha alle spalle una vita di militante in varie formazioni di estrema destra e in passato è incappato anche in alcuni processi. Sul sito, un po’ datato, della sua Villa Votalarca a Chiaravalle di Treia, ex casino di caccia settecentesco oggi sede di banchetti e cerimonie, è scritto con nonchalance "vi hanno soggiornato fra gli altri Federico Zeri, Pietro Zampetti, Vittorio Sgarbi, Franco Freda, Romano Mussolini, Pino Rauti, Pino Signorelli e recentemente Rocco Buttiglione, il solitario e malinconico leader del Cdu" dove spicca più che altro il poker di segno nero. Ma non è tutto: il 25 giugno dello scorso anno, il giornale online di San Severino Marche, Il Settempedano, riferiva che "Roberto Fiore, ha inaugurato al civico 96 della centralissima Piazza del Popolo, per gentile disponibilità del marchese Gianfranco Luzi – al cui padre, professor Giancarlo, docente all’università di Bologna, ucciso a guerra terminata nel maggio del 1945, la sezione è intitolata – la prima sede di Forza Nuova in territorio settempedano".

  

Insomma il business dell’accoglienza non riguarda solo le Ong – Buzzi e Carminati insegnano –, ma il marchese Luzi ci illumina su una nuova categoria antropologica, inedita e imprevista, che rovescia il luogo comune tanto caro a La Verità o Libero: quelli col cuore a destra e il portafoglio a sinistra.

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