Perfect english

Eugenio Cau

Un tempo la lingua franca del mondo era una versione dell’inglese semplificata nel lessico e nella grammatica. Oggi internet, YouTube e la globalizzazione hanno creato una nuova generazione di poliglotti fluenti

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PERFECT ENGLISH 

 

Testimonianza numero 1. Aprite questo link del Financial Times di qualche giorno fa e leggete l’ottimo articolo di Simon Kuper. Il columnist, prendendo ad esempio la star di YouTube PewDiePie, spiega che nel mondo si sta facendo strada una nuova lingua franca: il Perfect English, cioè un inglese scritto e parlato in maniera fluente, esattamente come farebbe un madrelingua. PewDiePie è l’esempio perfetto: nato in Svezia come Felix Kjellberg, lo youtuber parla un inglese senza sbavature, con slang e sottigliezze lessicali, e solo una lievissima traccia di accento a tradire le sue origini scandinave.

 

Se un tempo la lingua franca del mondo era il Simple English – o meglio: il “globish” –, vale a dire una versione dell’inglese semplificata nel lessico e nella grammatica e spesso frammista con parole locali, oggi internet, YouTube e la globalizzazione hanno creato una nuova generazione di poliglotti fluenti, come PewDiePie. O Emmanuel Macron, che quando vuole lasciare il segno parla in inglese. O i troll russi, che quando vogliono boicottare il processo elettorale americano lo fanno in inglese (non esattamente Perfect, ma tant’è).

 

Testimonianza numero 2. Andate sull’App store dell’iPhone o sul Play store di Android per scaricare una nuova app – magari una di quelle consigliate da Silicio. Prima leggete le recensioni degli utenti. Ne troverete tantissime, decine e decine, che dicono tutte la stessa cosa: “Bellissima app, ma l’ho disinstallata perché non è tradotta in italiano”; “Ho messo solo due stelle su cinque perché manca la traduzione ita”; “Vi lascerò un voto migliore quando metterete l’italiano”. Non sono solo gli utenti italiani a scriverlo, anche quelli spagnoli e francesi, per le loro rispettive lingue.

 

Testimonianza numero 3. Considerate Amazon Echo. L’assistente domestico di Amazon con intelligenza artificiale incorporata è stato lanciato quasi tre anni e mezzo fa, nel novembre del 2014. Da allora la linea di prodotti Echo si è allargata a dismisura (ci sono l’Echo Dot, l’Echo Show, l’Echo Look, l’Echo Spot), è stata introdotta una seconda generazione del prodotto originale, la concorrenza ha messo sul mercato i suoi assistenti domestici, con Google in prima linea e Apple e Microsoft ad arrancare, sono arrivati perfino le aziende cinesi. Quello che era un prodotto di nicchia è diventato mainstream, e infine un grande fenomeno culturale e di business. C’è un solo problema: in Italia non esiste niente di tutto questo.

 

Amazon Echo e Google Home sono disponibili da tempo in America e nei paesi anglofoni (e perfino in Germania, dove è pieno di adepti del Perfect English), ma non in Italia (o in Francia o in Spagna, per quel che conta). Perché? La lingua, ovviamente. Amazon Echo parla solo in inglese.

 

L’esempio degli assistenti digitali è importante perché ci dice una cosa che ci dovrebbe preoccupare: nel resto del mondo è in corso un grosso fenomeno tecnologico, da molti definito una rivoluzione, dal quale noi siamo esclusi per ragioni linguistiche. Il fatto non è semplicemente che nell’ambiente della tecnologia si parla Perfect English perché tutti gli esperti e gli ingegneri sono stati educati a Stanford. E’ proprio la tecnologia che parla una lingua diversa. L’intelligenza artificiale sta imparando a esprimersi in linguaggio naturale, e questo è l’inglese. Forse a un certo punto anche le reti neurali faranno economia di scala, e una volta imparato alla perfezione un linguaggio sarà più facile impararne un altro, ma per ora noi italiani, francesi e spagnoli siamo tagliati fuori.

 

E finché si tratta di cilindretti di plastica che ti dicono il meteo, pace. Ma quando le macchine che si guidano da sole saranno introdotte in Italia con due anni di ritardo perché non è ancora stata tradotta l’interfaccia di comunicazione, cosa faremo?

 


 

VALLEY E ALTRE VALLEY

 

Cosa è successo questa settimana

 

  • Questa settimana ci sono tantissime notizie ma molto frammentate, è difficile trovare il bandolo della matassa. Se però dovete leggere una cosa sola che vi faccia capire come è andato il dibattito sulla tecnologia il pezzo che state cercando è questo. Sul Wall Street Journal, in prima pagina, si prende in seria considerazione l'ipotesi di spezzare i monopoli tecnologici della Silicon Valley con provvedimenti antitrust, come fatto con Standard Oil nel primo Novecento. Sul Wall Street Journal, capite? Il giornale più pro business del mondo. E' un segnale importante che l'attitudine nei confronti della tecnologia sta cambiando, e la Valley dovrebbe preoccuparsi.

  

  • Apple vuole rimpatriare negli Stati Uniti oltre 200 miliardi di dollari in contanti che teneva all'estero. Per farlo, dovrà pagare un multone. (Ma sarebbe stato infinitamente di più senza la riforma fiscale di Trump).

 

 

  • A proposito: Donald Trump, la prima ministra norvegese e Tesla (da qui):

 

  

 

  • Come si fa a placare la dipendenza da smartphone? Le app usano ogni mezzo per attirare la nostra attenzione, anche i colori. Quante volte vi è capitato di accendere lo smartphone per guardare la mail e finire su Instagram. Secondo molti studiosi, c'entrano i colori variopinti della app di Instagram. Soluzione: mettere tutto lo schermo del telefono in bianco e nero.

 

 

 

  • Anche questa è una storia sporca: è stato trovato un malware molto brutto che fa attività di spionaggio mai vista prima sui sistemi Android – e pare venga dall'Italia.

 

 

 

 

 

  • Cina! Il governo americano ha incluso Taobao, uno dei principali siti di Alibaba, nella lista dei suoi "Notorious Markets" per la vendita di prodotti falsi. Alibaba e la Cina si sono arrabbiate molto. Secondo alcuni, è così che inizia una guerra commerciale.

 

  • JD.com, sito di ecommerce cinese, sta facendo un giro di fundraising per il suo settore logistico e si aspetta di fare su 2 miliardi di dollari. Non male.

 

 

 


 

VIDEO BONUS 

 

  

Avete paura delle api? Avete un incubo ricorrente di stormi di uccelli che vi aggrediscono come in un film di Hitchcock? Adesso ci si mettono anche i droni. Questi sono solo due, ma presto inizieranno a volare in stormi, perfettamente sincronizzati, per portare i nostri pacchi Amazon. Leggete qui l'articolo intero, e guardate il video sotto.

  


 

LONG READ, METTETEVI COMODI 

 

Ritratto di Jeff Bezos, che prima era un nerd bibliofilo, poi è diventato un G.I. Joe sborone e ora vuole fare il filantropo.

 

Come si leggono i vecchi dischettoni che si usavano a fine anni Ottanta? (Per quelli nati negli anni Novanta: parliamo dei predecessori dei floppy disk). (Per quelli nati negli anni Duemila: i floppy disk sono i predecessori dei cd). Un'avventura nostalgica.

 

Un'agenzia di geostrategia ha provato a usare un'intelligenza artificiale per fare le sue previsioni geopolitiche per il 2018. Eccole.

 

Una cosa che i campioni di scacchi e di Go dicono di AlphaZero (e AlphaGo), l'intelligenza artificiale di Google che li batte puntualmente, è che la cosa sorprendente non è tanto quanto l'AI sia forte, ma lo stile di gioco assolutamente mai visto. Ecco, scrive il Financial Times, l'AI sta cambiando anche il modo in cui giochiamo a scacchi.

 

Facebook ha annunciato una settimana fa una grande riforma del suo News Feed. Ne abbiamo parlato, ma adesso molti commentatori dicono che in realtà il progetto è molto preciso: scaricare le news.

 

Un gran viaggio del New York Times nella fabbrica dei nuovi giovanissimi riccastri – che poi tornano a essere poveri appena il bitcoin crolla di nuovo.

 

Sapevate che Steve Colbert, il comico, ha contribuito a creare un'app per scrivere sceneggiature che adesso è usata in tutte le redazioni tv d'America? – solo in quelle di sinistra, però.

 

Gli scienziati giapponesi hanno sviluppato un'intelligenza artificiale che "legge la mente". Non è proprio così, diciamo che simula la mente, e l'esperimento non è nemmeno il primo del suo genere. Ma ci sono i video.

 

Anche questa in fondo è tecnologia: le fotografie più belle che vedrete questa settimana vengono da una fabbrica di matite.

 

Gran storia di copertina di Wired America. Siamo nell'età dell'oro della libertà d'espressione. Tutti possono dire ciò che vogliono e farlo liberamente, ma questo sta distruggendo la democrazia.

 


 

APP DELLA SETTIMANA 

 

Files Go è un file manager. Significa: è una di quelle app che vi fanno vedere tutte le cartelle dello smartphone e vi fanno spostare i file da una all'altra, come se fosse un computer. Ma Files Go ha una caratteristica preziosa: è fatto da Google, e ha delle funzioni eccellenti per risparmiare spazio sui nostri smartphone sempre pieni. E' solo per Android 

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.