Lo stimolino fiscale cinese

Maurizio Sgroi

Pechino torna a spingere sugli investimenti infrastrutturali per sostenere la crescita

C’è stato un tempo, neanche tanto lontano, in cui ci spiegavano che i consumi cinesi sarebbero stati il volano delle magnifiche e progressive sorti dell’economia internazionale. Si raffiguravano file interminabili e disciplinate di figli dell’Oriente, finalmente patrimonializzati, davanti agli store dell’Occidente, finalmente globalizzato, in attesa di spendere i loro faticosi risparmi in cellulari, automobili, vacanze (possibilmente a Occidente) e tutto l’armamentario del consumatore felice del XXI secolo. E invece non appena il governo cinese e i suoi volenterosi emuli locali hanno smesso di spendere per investimenti di utilità incerta, il pil si è sgonfiato come un soufflé malriuscito. Sicché il governo è tornato a proporre stimoli fiscali per le infrastrutture, come nel 2008, scrivendo un nuovo capitolo di un libro che sembra non finire mai. Ma oggi, a differenza di ieri, lo spazio per far spesa si è ristretto, avendo già i debiti della Cina superato alcune volte il proprio pil. Non che questo sia un problema, dicono i cantori della spesa pubblica come panacea di ogni male. Non lo è difatti. Lo sarà.

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