Il disinteresse “imperiale” verso il costo del denaro

Maurizio Sgroi

Settecento anni di tassi di interesse in un paper della BoE

Sfoglio un bel paper della BoE che racconta sette secoli di tasso di interesse, letti attraverso la lente del cosiddetto tasso risk free, ossia quello che si assegna ad asset considerati privi di rischio, ruolo ai quali si candidano naturalmente i bond dei governi. Di alcuni almeno. E osservo che la storia e la geografia di questi tassi illustra ogni volta un racconto simile: una nazione diventa finanziariamente dominante, e quindi i suoi bond vengono considerati risk-free, e da quel momento in poi i tassi cominciano a calare. Si osserva con chiarezza nel passaggio dal periodo veneziano a quello olandese, così come in quello da quest’ultimo a quello britannico, e persino nel piccolo intervallo fra il 1961 e il 1980, quando il bund tedesco surclassò per un breve periodo come asset risk free il treasury Usa, sconvolto dall’inflazione, almeno fino a quando Paul Volcker, all’epoca presidente della Fed, non decise di dichiararle guerra. Ma pure da allora, ossia da quando gli Usa riaffermarono il loro dominio imperiale sui mercati finanziari, il tasso non ha mai cessato di scendere, arrivando oggi al suo minimo da settecento anni. Sia colpa di quella che i teorici chiamano stagnazione secolare o di un abuso di manipolazioni monetarie, come sospettano altri, non lo sappiamo. Sappiamo solo che gli imperi hanno la tendenza a disinteressarsi del costo del denaro. E si vede.