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editoriale

La legge sullo ius scholae è giusta, ma serve una versione più seria

Redazione

I legislatori, e soprattutto le istituzioni scolastiche, devono sapere che la cittadinanza per via di scolarizzazione deve essere un percorso serio, non la nuova edizione del “foglio di carta” all’italiana

Arriva in Aula a inizio settimana dopo attese, polemiche e rimandi durati anni la proposta di legge che ora, nel testo del cinque stelle presidente della commissione Affari costituzionali della Camera, Giuseppe Brescia, si chiama “ius scholae”. Prima di arenarsi nella scorsa legislatura – quando si provò a sostituire la vigente legge dello ius sanguinis con quella dello ius soli, ovvero il diritto di cittadinanza basato sulla nascita nel territorio dello stato – e poi ancora nel 2019, il titolo era invece ius culturae. Nel contenuto la proposta attuale è in pratica la stessa: un minore potrà acquistare su richiesta la cittadinanza  se abbia risieduto legalmente e senza interruzioni in Italia e abbia frequentato regolarmente per almeno 5 anni uno o più cicli scolastici presso istituti del sistema nazionale di istruzione o percorsi di istruzione e formazione professionale idonei al conseguimento di una qualifica professionale.

 

La via della scuola per diventare cittadini è giusta e un po’ facile: sarebbe meglio dire che per divenire cittadini di un paese  è necessaria anche una adesione alla sua cultura – leggi, comportamenti, rispetto dei diritti delle persone, un minimo di conoscenza della sua storia, oltre che della lingua. Questo è più o meno previsto nel testo, ma lasciato in una vaghezza poco promettente.

 

Da qui, a parte i criticabili pregiudizi ideologici e a volte folcloristici, derivano alcune obiezioni dei partiti di destra, non trascurabili. Basta una scolarizzazione ridotta al minimo per ottenere la cittadinanza di minori, senza una valutazione e senza che si sia svolta una adeguata formazione anche per le famiglie? La scuola italiana ha una capacità bassa di integrare studenti  spesso appena arrivati. Per molti i cinque anni di scuola sono purtroppo un nulla di fatto. Per un vero ius scholae non basta un voto, nemmeno se supportato da sondaggi in favore di social. I legislatori, e soprattutto le istituzioni scolastiche, devono sapere che la cittadinanza per via di scolarizzazione deve essere un percorso serio, non la nuova edizione del “foglio di carta” all’italiana.