Gli esami di maturità consacrano la bella metamorfosi degli studenti

Marco Lodoli

Finisce la notte (lunga cinque anni) prima degli esami. Per i primi quattro i ragazzi sembrano recepire poco o nulla, pensano ad altro, a crescere, a farsi gli amici, a contenere l’esplosione ormonale. Poi all'improvviso, il miracolo

Per lunghi anni si ha l’impressione di parlare ai banchi, ai muri, alle finestre della classe, e che gli studenti siano pressoché irraggiungibili: il professore ci mette tutta la passione che ha dentro, ma prova anche a essere leggero, comunicativo, spiritoso, ad agganciare questioni di secoli e secoli fa ai problemi di oggi, in particolar modo a quelli che crede siano più interessanti per gli adolescenti. Ore e ore a spiegare autori antichi, filosofi complessi, eventi remoti: ma aggiornandoli, tentando di dimostrare quanto siano vibranti e incalzanti anche adesso. Poi alle interrogazioni il povero prof. si rende conto che quasi nulla è transitato, che lo studente ha imparato leggendo sul libro quelle quattro cosette necessarie ad arrivare alla sufficienza e magari anche un pizzico più su, e la sfiducia lo assale.

 

Ma io che ho tanta esperienza ho capito come funziona la mente dell’adolescente: il primo anno sembra recepire poco o nulla, e così il secondo e il terzo e il quarto anno. I ragazzi pensano ad altro, a crescere, a farsi gli amici, a contenere l’esplosione ormonale, pensano allo sport, ai problemi familiari, a crearsi una qualche identità, sincera o artificiale. Una fatica immensa nella quale i discorsi dei professori quasi non riescono a entrare, oppure entrano, ma subliminalmente, in un modo quasi impercettibile, semi che la terra tumultuosa dell’adolescenza inghiotte e nasconde. Persino il primo quadrimestre dell’ultimo anno di scuola sembra procedere sulla stessa falsariga: il prof. si dimena, spinge, cerca di sedurre, minaccia, e non accade niente. E poi, improvviso, il miracolo: a marzo, ad aprile, accade una metamorfosi bellissima e misteriosa. D’improvviso quel foruncoloso sedicenne che se ne fregava di tutto, tranne che del voto, è diventato un diciottenne molto ma molto più consapevole, più attento, curioso, aperto, capace di trasformare quella montagna di nozioni e parole in un proprio ragionamento, in un vivo interesse. Ci vogliono cinque anni affinché questa trasformazione abbia luogo, e non avviene sempre, qualcuno continua a fregarsene e a pensare ai fatti suoi, e però molti ragazzi raggiungono una nuova maturità. 

  
Forse è un processo puramente fisiologico, ma forse – lo spero, ci credo – anche i discorsi dei professori hanno fatto la loro parte, i semi si sono rotti nella terra e la pianta cresce, verdeggia, produce frutti, ombra, nuovi profumi. Sono tre o quattro mesi decisivi, che portano fino all’esame conclusivo, un crinale decisivo che separa il prima dal poi, l’indifferenza dalla comprensione. I professori sanno che spesso c’è questo scatto, che tutto quello che hanno versato nei secchi apparentemente bucati ora finalmente permane, come un liquido vitale.

 
Gli esami di maturità suggellano e consacrano questo passaggio esistenziale e culturale. Il ragazzino che balbettava quattro sciocchezze imparate a memoria, in un battibaleno è diventato quasi un adulto: la miccia è arrivata al tritolo, e la vita esplode di nuova energia, la grigia crisalide ora è una farfalla che vola e cerca i suoi fiori. Questo è forse il periodo più importante per la formazione dell’individuo: o si accende adesso quella scintilla o non si accenderà più. Ora gli studenti intendono la complessità dei processi creativi, del pensiero che fonda una visione della vita, dei meccanismi scientifici, e quando si alzano dalla sedia davanti al tavolo degli esaminatori, quando stringono la mano a tutti i professori alla fine dell’esame, sono diventati più grandi, più forti, più consapevoli di sé stessi e del mondo. 


Spesso si dice che gli esami sono un rito di iniziazione, la traversata del bosco, lo scontro con la belva feroce, e mi sembra che sia proprio così. Chi fa un buon esame, perché ha studiato, ha capito, è cresciuto, acquista una sicurezza decisiva per affrontare i problemi che lo aspettano là fuori. Chi fa una figura meschina, se la sognerà per tutta la vita, si sveglierà sudato anche fra trent’anni dopo aver sognato per l’ennesima volta quell’esame penoso. E allora adesso è il momento di fare le nottate bevendo caffè e ripassando i programmi, è il momento di spremere l’arancia fino in fondo. C’è in gioco non solo una buona votazione finale, ma una nuova considerazione di sé stessi. Bisogna sconfiggere l’inerzia, la paura, la mediocrità, bisogna gridare al mondo: eccomi, ci sono, sono qui, sono pronto.

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