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Diario di scuola

Tra Covid e guerra, anche in classe si spezza l'idea che il merito è sempre dei vincitori

Marco Lodoli

Dalla parte dei vinti, perché chi ha la meglio non ha sempre ragione. La storia sta ridefinendosi attorno ai suoi eventi peggiori. Improvvisamente si ricomincia a provare simpatia e affetto per chi sa spendersi per gli altri. “Non ce la faranno mai gli ucraini”, mi dice Michela, “però sono coraggiosi, io soffro con loro”

Epoche diverse, altre letture, altri film, altri pensieri: da ragazzo provavo simpatia e poi un po’ di pena per Ettore e i troiani, devastati dalla furia e dall’inganno degli achei. Simpatia e un po’ di pena e anche una certa attrazione verso i perdenti, le anime nobili o vacillanti tritate da meccanismi feroci e incomprensibili, troppo più grandi di loro. È un tema su cui bisogna fermarsi a riflettere, perché tutto oggi sembra essersi ribaltato: “Professò, chi vince ha sempre ragione”, mi diceva un mio studente, con l’aria rassegnata di chi ha capito come funziona la vita. La forza, la brutalità, l’affermazione assoluta della volontà di potenza dominano da capo il mondo, e verso i vinti ci può essere solo uno sbrigativo sguardo di commiserazione. 

Le forze in campo si dividono nettamente, da una parte i vincenti, dall’altra i perdenti: gli opposti non si attirano fino a riunirsi, come in tanta poesia o nella mistica, la verità non ha più la forma di una sfera alla quale tutti partecipiamo con le nostre fugaci opinioni, una sfera che accoglie e supera ogni parzialità. Ormai è chiaro che siamo pezzi di una scacchiera, bianchi e neri, alfieri torri cavalli re e regine oppure semplici pedoni votati al sacrificio. Il nostro mondo premia solo chi si afferma contro gli altri, cancellando ogni sentimento di compartecipazione e di pietà, inutili ritardi sul cammino della vittoria. Ormai la nostra società, le famiglie, la scuola preparano fin da subito i bambini ad accumulare meriti, competenze, stage, attestati che spianino il percorso verso l’affermazione di se stessi, e in culo a chi resta indietro. 

 

Il concetto ipocrita che regge questa triste baracca è quello della meritocrazia. Devono emergere i migliori, i più preparati, i più forti, altrimenti si scivola in un assistenzialismo stagnoso e deprimente: chi vale si imponga, chi non vale si attacchi al tram, per non dire peggio. In fondo anche Hegel, sommo filosofo dell’idealismo tedesco, sosteneva che solo ciò che è reale è razionale, dunque solo ciò che ha la forza di esistere ha senso, il resto svanisca nel patetico mondo dei sogni e delle illusioni. E il positivista Darwin ribadiva che l’esistenza è una lotta per la sopravvivenza, chi non ce la fa, chi non sa adattarsi alle condizioni mutevoli della vita, finisca pure nel museo degli scheletri abbandonati. E Nietzsche auspicava l’avvento del superuomo, gli omuncoli possono benissimo essere calpestati. 

 

Guardo i miei studenti di Torre Maura, cinque anni di scuola professionale alle spalle, famiglie modeste, quartieri che offrono poco o niente, e mi chiedo cosa sarà di loro, come faranno ad avere un posto al sole in una esistenza che parte dall’ombra. E la cosa più ingiusta è che in fondo anche loro approvano questo sistema così duro e selettivo: amano Dubai e le star, sognano vestiti costosi e piscine azzurre, inconsciamente inseguono il mito del successo selettivo. Difficilmente si pongono in contrasto rispetto alla logica del “dentro o fuori”, quasi mai esprimono un fastidio, un disappunto, un timore verso un mondo che somiglia a un tritacarne. Il pensiero dominante ha colonizzato anche i pensieri istintivamente nobili e generosi dei ragazzi. 

 

E però forse qualcosa sta cambiando, a causa prima della pandemia e poi della guerra. Forse la storia sta ridefinendosi attorno ai suoi eventi peggiori. Improvvisamente abbiamo iniziato a provare simpatia e affetto per chi sa spendersi per gli altri, per i medici, gli infermieri, persino per gli insegnanti che hanno tenuto unite le classi durante la bufera del virus. E ora per il popolo ucraino, probabilmente destinato a soccombere davanti alla superpotenza bellica di Putin e dei suoi generali. Forse chi vince non ha sempre ragione, forse il nostro cuore ha ripreso a battere per i troiani, per le mura bruciate della loro città, della nostra vita collettiva. Vedo che i miei studenti sperano che l’Ucraina resista, e anche se alla fine sarà sconfitta stanno comunque dalla sua parte, perché chi perde merita rispetto, attenzione, solidarietà. “Non ce la faranno mai gli ucraini”, mi dice Michela, “però sono coraggiosi, io soffro con loro”.