Foto Cecilia Fabiano/ LaPresse 

La classe non è acqua

Luce, colori e la persona al centro. L'edilizia scolastica dell'architetto Benini

Mario Leone

"L’ambiente suscita benessere. L’architettura scolastica deve prendersi cura dell’uomo in un mondo che non è più interessato a farlo". Parla l'archistar milanese Dante Oscar Benini

“Dare dignità alla persona”. Parole e musica dell’architetto Dante Oscar Benini, uno dei maestri dell’architettura italiana, con cui abbiamo scambiato due chiacchiere, a distanza ovviamente. Milanese, classe 1947, una vita lontano dall’Italia, in giro per il mondo: nel ’78 presso lo studio di Frank Gehry a Santa Monica, California, poi in Inghilterra sino a giungere in Brasile dove si laurea all'Università Federale di Rio de Janeiro insieme a Oscar Niemeyer. “In verità il mio primo maestro è stato Carlo Scarpa, che mi ha fatto capire che nella vita avrei potuto fare solo l’architetto”. Benini ha un legame fortissimo con loro.

 

Sono guide sicure che accompagnano il suo percorso umano e professionale ancora oggi che a settantatré anni possiede esperienza e fama internazionale. “Loro mi hanno insegnato che per essere competitivi bisogna essere competenti. Essere competenti significa unire la cultura del progettare bene a quella del fare bene”. Con Benini vogliamo parlare di scuola, di edilizia e di come si possano concepire nuovi spazi dedicati all’educazione. Sull’argomento, l’architetto batte insistentemente su un punto: la persona.

 

“Quando disegno, la mia massima attenzione è rivolta, prima che ai luoghi, alla persona, al fruitore finale. Non concepisco un ambiente a partire da standard convenzionali, senza pensare a chi ci sarà dentro. Avere in mente il fruitore significa, nel caso della scuola, dare priorità alla luce, pensare finestre che non siano più quelle di 110x110cm. Scegliere colori e materiali che creino un’atmosfera. Di fronte al progetto di una scuola, l’architetto deve essere cosciente di quale sarà l’utilizzo degli ambienti. Deve scegliere i materiali pensando a quelli che non richiedano troppa manutenzione. L’architettura, soprattutto quella scolastica, deve prendersi cura dell’uomo in un mondo che non è più interessato a farlo”.

 

In Italia, invece, sembra regnare un certo disinteresse su questo tema. Le strutture che accolgono i nostri studenti sono spesso fatiscenti, pensate come grandi casermoni anonimi e sporchi. Da anni si parla di un grande piano di riammodernamento e in alcuni casi della costruzione di nuovi istituti. Nulla si è mosso. “È un problema di ignoranza delle istituzioni e anche degli architetti – continua – abbiamo una classe dirigente che pensa solo ai propri interessi. Se qualcuno mi chiedesse di progettare un istituto, lo farei molto volentieri senza alcuna retribuzione ma a una sola condizione: trovare un committente che si metta a lavorare con me perché desidera fortemente realizzare il progetto per offrirlo a tutti”.

 

Persona, benessere, cura sono le parole che descrivono tutti i progetti di Benini. Dal Ponte Cittadella al Parco di scienza biogenetica, situato a Shenzhen. Senza dimenticare le abitazioni, come il complesso “Living art” di Mosca. “L’ambiente influenza la persona e suscita benessere – ci dice – perciò quando disegno desidero offrire un’esperienza di piacere a chi vive i “miei” luoghi”. A Milano la Oscar Benini & Partners è uno studio che raccoglie una serie di professionisti che sposano questa filosofia creativa. Benini non si sente un maestro ma ama sentire tutti i componenti del suo team come dei veri compagni di viaggio.

 

“Attorno a un tavolo, tutti portiamo qualcosa di utile per realizzare un progetto e cerco di far sentire chiunque valorizzato. Spesso chiamo “maestro” ciascuno degli operai specializzati che lavorano nei miei cantieri. Vedendoli lavorare, non riesci a chiamarli diversamente”. Alla domanda su che cosa dovrebbe fare un insegnante, si ferma, riflette un attimo e riparte: “Coinvolgersi umanamente con i propri studenti. Non farli sentire dei falliti. Suscitare in loro emozioni, insegnare discrezione, disciplina e dovere, educando i ragazzi a fare qualcosa d’importante e non a diventare importanti”.

 


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