La retorica sulla scuola è ferma a marzo. La lettera di un insegnante

L'eterno ritorno dell'uguale in pochi mesi, in cui non si è riflettuto su nulla, non si è imparato nulla e non si è fatto nulla

    Al direttore - Uno degli aspetti più terrificanti delle pene inflitte da Dante ai dannati dell'Inferno è la loro eternità. Quello che subiscono, lo subiranno, consapevolmente e senza sconti, per sempre. Lo stesso noi, adesso: stiamo vivendo, consapevolmente e senza sconti, la stessa identica situazione di qualche mese fa. La teoria dei corsi e ricorsi storici di Vico, presa nella sua accezione più superficiale, si è talmente assottigliata che non devono più passare secoli per assistere nuovamente all'eterno ritorno dell'uguale: bastano pochi mesi. Pochi mesi in cui non si è riflettuto su nulla e, come conseguenza, non si è imparato nulla e, infine, non si è fatto nulla.

     

    Mentre torna in maniera inquietante lo spettro del lievito da comprare, la retorica sulla scuola è ferma a marzo: probabilmente, però, marzo del 1923, o giù di lì. I banchi urlano l'assenza degli studenti, si legge in un articolo scritto da una docente e scrittrice che è un esempio perfetto di “fallacia patetica”, e presto torneranno di moda le lezioni all'aperto nei boschi del Casentino pur con la pioggia e con l'inverno basta che siano in presenza; i docenti sono indignati già o devono cominciare a esserlo; i bidelli battono i piedi; le dirigenze rivelano spudoratamente tutto il loro dirigismo verticista che non educa ma, semmai, sanziona.

     

    La linea perfetta, del resto, per il paese che siamo: un paese che non educa mai i suoi cittadini, che non è mai dalla loro parte, ma che, al massimo, se e quando vuole ci mancherebbe, li sanziona (e gode nel sanzionarli, soprattutto i più deboli), li punisce, li vessa.

      

    Non c'è altro, non c'è stato a marzo, non c'è ora e non ci sarà a dicembre: non una riflessione di senso, non la costruzione di un eventuale nuovo senso, non la messa in discussione dello status quo, non una proposta o un'alternativa (non si dice una soluzione) che sia una; in compenso, però, lamento, vittimismo, scaricabarilismo, dirigismo, propagandismo, quanti se ne vuole. Tutto già visto, tutto ancora una volta da vedere. Un incubo progettato da Escher, vergato da Kafka, reso immagini da Terry Gilliam.

      

    Nelle scuole superiori, con le scuole ormai chiuse al 75 per cento, arrivano adesso i nuovi banchi: non hanno nemmeno le rotelle, ammesso e non concesso che le rotelle possano scongiurare il proliferare del contagio. Banchi con rotelle, in ogni caso, che esistevano già, ed erano già negletti dai pochi sventurati docenti che se li erano beccati fra capo e collo. Questi nuovi, comunque sia, nemmeno le rotelle previste hanno: e che banchi sono? Banchi monoposto normalissimi, con sedie monoposto normalissime, non più in legno ma in “sanissima”, robustissima, totalissima plastica (poi però chiedeteci di fare educazione civica e ambientale nel Triennio secondo l'Agenda 2030, mi raccomando, buffoni di corte di altri buffoni di corte che non siete altro).

     

    Come evitino, o sfavoriscano, o fungano da deterrente di un prevedibile (e infatti ora incontrollato) contagio questi banchi non è dato saperlo; ma nemmeno a loro, è evidente: semplicemente è una delle tante commesse economiche di una scuola azienda che, come tale, deve produrre, consumare, crepare. Speriamo crepi, così com'è, al più presto, se non altro. Così come speriamo che istituiscano il nuovo reato di “pandemia colposa”, fra le altre cose: c'è chi se lo meriterebbe. Non accadrà. Non accadrà mai niente, se non il reiterarsi ripetitivo e monotono, fino a diventare normalità, abitudine, di questa situazione. Questa, o altre: non cambia nulla, tutto è perfettamente uguale e replicabile nel mondo del capitale e degli algoritmi.

     

    Niente di questa tragedia, niente, è stato visto, vissuto, letto, interpretato come una opportunità, come una possibilità, come un'alternativa: di liberarsi, per esempio, di strutture e di mentalità inadeguate, obsolete, incancrenite. Tutto accadrà anzi di nuovo, un ricomincio da capo con sempre meno mesi in mezzo: tutti noi, nel mondo della scuola insegnanti in testa, vittime e complici insieme. Di tutto, ormai, siamo vittime e complici insieme, e questo non aiuta a decifrare, tuttavia aiuta ad assolvere e ad autoassolversi. Non può e non potrà che finire, per chi ha voglia di resistere, che con l'indifferenza, sperando (ma non credendoci) sia quella atarassica di Montale e non quella che a sua volta è madre del cinismo. Il Re è nudo, più che morto, lunga vita al Re!

     

    Roberto Donati, docente delle superiori, scrittore, sceneggiatore