(foto LaPresse)

Alla scuola non bastano “tantissimi banchi singoli”

Marianna Rizzini

L'unica certezza è che la data di inizio lezioni sarà il 14 settembre. I ritardi decisionali del ministro dell'Istruzione Lucia Azzolina e quel piano per ripartire che non c'è ancora

Roma. “Compreremo tantissimi banchi singoli”. La frase del ministro dell'Istruzione Lucia Azzolina fa la sua comparsa su siti e social di buon mattino, e fa l'effetto del dito che indica la luna. Non è tanto questione di banchi, infatti, ma di tutto il resto. La scuola è uno dei settori che nel post-Covid hanno sperimentato l'incertezza dell'oggi e del domani, senza per questo arrivare a un punto fermo, a parte la data sospiratissima d'inizio lezioni: 14 settembre (data decisa dopo un balletto di “sì”, “nì”, “no”, anche per via della concomitanza con le elezioni regionali).

 

A parte la data, dunque, le linee guida per la riapertura delle scuole presentate dal ministero il 26 giugno, all'indomani della manifestazione organizzata dal comitato “Priorità alla scuola” (no alla didattica a distanza, era il primo punto del cahier de doléances), non hanno accontentato né i genitori né i docenti (e ieri Azzolina ha rischiato di complicare il tutto, con dichiarazioni su un'eventuale apertura delle scuole a luglio – anche se l'ipotesi non era per quest'anno). Per la scuola ci doveva essere un piano prima, molto prima di quel 28 maggio in cui il Comitato Tecnico Scientifico aveva diffuso le proprie indicazioni (e già si sapeva che l'anno scolastico non si sarebbe concluso in presenza), indicazioni poi recepite nelle linee guida stesse. Il piano non c'è stato, ma ora c'è davvero? Questo si domandano genitori, presidi e docenti, di fronte all'enorme punto di domanda sul “come” tornare a scuola. Bisogna ripensare gli orari, predisporre turni, trovare nuovi spazi, assumere nuovi maestri e professori? Ristrutturare aule? In un mese e mezzo? E in caso di una seconda ondata epidemiologica, come si procederà? Chi ha infatti visto riaprire nelle ultime settimane attività e imprese in teoria ad alto rischio, dai locali alle palestre, vede anche che il distanziamento sociale spesso è una chimera. Perché sacrificare in prospettiva proprio la scuola, primo fronte di un eventuale secondo lockdown?, è allora la domanda che genitori e docenti si pongono. Anche per questo il viceministro pd dell'Istruzione Anna Ascani, intervistata da Radio Rai, ha spiegato che, “in caso di contagi a scuola, varrà quello che vale negli altri ambiti della società, ci saranno tutte le precauzioni come previsto dal Comitato Tecnico Scientifico. Stiamo lavorando su test per il controllo sul personale e sulla popolazione scolastica”.

 

E sull'altro problema sospeso, quello del precariato, Ascani ha provato a rassicurare: “Abbiamo lanciato tre nuovi concorsi per stabilizzare altri 70 mila docenti. I professori non mancheranno. Abbiamo stanziato soldi per incrementare l'organico di fatto, cioè i docenti assunti a tempo determinato. In classe ci saranno tutti i docenti necessari a riprendere l'anno regolarmente”. Fatto sta che, nelle regioni e nei comuni, la ripresa scolastica preoccupa anche per via della libertà che le linee guida lasciano (della serie: se ogni preside, in buonafede, interpreta a modo suo, che cosa succede?). E se è vero che l'autonomia è necessaria per decidere dove e come reperire gli spazi necessari al distanziamento, è anche vero che le possibilità per risolvere il problema – trovare nuove aule all'interno degli edifici ma anche all'esterno, fare lavori per ampliare quelle esistenti, ridurre l'orario, far andare a scuola i bambini e ragazzi anche il sabato – richiedono una gestione quasi ingegneristica della ripresa (della serie, di nuovo: saranno in grado, con le proprie forze, i poveri presidi?). Sempre Ascani ha annunciato il censimento (già effettuato) di tremila edifici scolastici non in uso, ma pronti per essere usati in condizioni di sicurezza. Gli enti locali lavorano su altre soluzioni, e il governo, nel decreto Rilancio, ha destinato 330 milioni di euro agli enti locali stessi (per la sicurezza). Ma anche se si riuscisse a distribuire le classi in altri edifici, non è detto che si riesca a risolvere in così poco tempo la questione del personale – docente e personale ATA eventualmente necessario “in più”: spunta infatti subito, come in una matrioska, il problema sottostante delle graduatorie. E la sicurezza? Basterà il distanziamento tra i banchi?

  

Ma c'è anche chi, in retrospettiva, accusa Azzolina di aver preso la decisione sbagliata in maggio (finire l'anno a distanza), quando si poteva forse riaprire con precauzioni (mascherine e disinfettanti) e risolvere via via problemi che ora, nella corsa contro il tempo, sembrano insormontabili. E, a margine delle riunioni governo-regioni, ancora riecheggia la voce di Stefano Bonaccini, governatore dell'Emilia-Romagna, al quale le linee guida apparivano “irricevibili”. E dalla matrioska della riapertura-scuola intanto emerge l'ultima, ma non così piccola questione sospesa: come recuperare i mesi persi con la didattica a distanza, non sempre efficace, specie nella scuola primaria?

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.