La sinistra, i sindacati e la prospettiva di una scuola peggiore

Un concorso per i precari. Ma le procedure selettive, se non sono aperte a tutti, non rispettano il principio di eguaglianza

Per lunedì 8 giugno, con un non consueto accordo, Cgil, Cisl, Uil, Snals, Confsal e Gilda hanno proclamato uno sciopero nel settore scolastico, avanzando molte richieste, tra cui principale quella di abbassare le barriere selettive per l’accesso dei precari al posto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Come considera questa vicenda chi fece parte a suo tempo, nel 2013, della Corte costituzionale, aprendo la strada alla riduzione del precariato? 

  

Come si spiega questo accordo tra sindacati con tradizioni tanto diverse e l’inedita alleanza tra Pd, Leu e Lega in Parlamento, mentre la ministra e il M5s, che pure provengono dalla tradizione dell’“uno vale uno”, sostengono il principio che occorre misurare il merito per consentire l’accesso all’importante funzione dell’educatore, e solo alla fine sono riusciti a ottenere un accordo con Pd e Leu su un compromesso? Possibile che i sindacati, dopo aver stipulato ben sei accordi in materia, negli ultimi tempi, si sveglino ora, adducendo il Covid-19 per modificare le modalità di selezione degli insegnanti delle scuole secondarie di primo e secondo grado?

Punto di partenza sono le decisioni della Corte costituzionale e della Corte di giustizia europea (2013), relative al ricorso ai contratti a termine. Muovevano dalla constatazione dell’eccessivo numero di insegnanti supplenti in Italia, numero eccessivo dovuto in parte anche all’abuso in sede locale delle supplenze. Nell’ottobre 2019 un decreto legge stabilì che si facessero regolari concorsi, aperti a tutti, per la scuola e, contemporaneamente, che si aprissero procedure selettive riservate ai supplenti con tre anni di insegnamento. Sono poi intervenuti due altri decreti legge. La seconda procedura stava per partire con prove scritte a risposta multipla (quelle utilizzate ormai in tutti i concorsi, sprezzantemente definite “prove a crocette” da coloro che non conoscono i lavori dei pedagogisti Aldo Visalberghi e Maria Corda Costa sul tema). Il coronavirus è stato l’occasione colta dai sindacati per cercare modi più semplificati e diretti di immissione in ruolo, ma la ministra ha saggiamente tenuto duro e si è giunti a un compromesso con un emendamento al Senato, che dovrebbe essere approvato entro l’8 giugno alla Camera. L’obiettivo della direzione presa nel 2013 è quello di ridurre i supplenti (non eliminarli, perché in tutti i paesi c’è un numero frizionale di supplenti), ma, nello stesso tempo, salvaguardare il principio del concorso selettivo nell’accesso alle funzioni pubbliche.

 

Così il M5s sta dando una lezione ai sindacati, proprio quelli che si dichiarano paladini della giustizia sociale. I sindacati non divengono così i guardiani del clientelismo e della conservazione, nascosti dietro una terminologia “progressista”?

Queste sono considerazioni che andrebbero approfondite. Che cosa è cambiato nella cultura della sinistra? Questa – pensi solo a Turati – è stata sempre ispirata a ideali di giustizia sociale, che in questo caso vuol dire possibilità di accesso a uffici e cariche pubbliche, aperto a tutti, senza esclusione, secondo il criterio dell’eguaglianza. E scelta non in base a privilegi di categoria o a situazioni pregresse (avere occupato in via precaria un posto), ma in base a qualità personali misurate con criteri obiettivi, in competizione. Questo viene chiamato merito. Tutto questo combacia, poi, con l’idea che al servizio pubblico (quello dell’educazione è il più importante dei servizi pubblici) debbano esser preposti i migliori. Quindi, giustizia ed efficienza convergono nel ricorso a procedure selettive aperte a tutti, quelli che chiamiamo concorsi. Se le procedure selettive non sono aperte a tutti, non rispettano il principio di eguaglianza. Se le selezioni non sono fatte secondo gli stessi criteri, non rispettano il principio di eguaglianza. Possibile che dirigenti sindacali e dirigenti di partiti che si chiamano di sinistra abbiano dimenticato queste elementari conclusioni, che sono il precipitato di decenni di lotte sociali e di illuministiche aspirazioni ad affidare l’educazione (e i servizi pubblici, in generale), nelle mani dei migliori? A questo si aggiunge un problema di eguaglianza intergenerazionale. Se si occupano ora tutti o molti dei posti disponibili (l’immissione in ruolo con procedura riservata riguarda ora 32 mila posti), che accadrà alle classi di generazioni successive? Perché debbono pagare il costo di dover aspettare tanti più anni per avere la “chance” di concorrere?

 

Princìpi giusti, che però le norme di stabilizzazione dei precari violano.

Ma proprio per questo non si capisce come sindacati, Pd e Leu possano aver alzato la posta chiedendo che l’accesso avvenisse solo con selezione per titoli e non anche mediante una prova, salva la convergenza di Pd e Leu sul compromesso raggiunto al Senato, approvazione della Camera permettendo. Proprio perché questo cosiddetto concorso riservato o straordinario (i concorsi sono concorsi aperti, “concorso riservato” è un ossimoro) è già una eccezione alla regola generale (sancita nella Costituzione e frutto di secoli di evoluzione dei moderni ordinamenti), colpisce che sindacati e sinistra abbiano chiesto, e i primi ancora non smettano di chiedere, ulteriori norme eccezionali.

 

Anche perché vi sono le graduatorie a esaurimento, che costituiscono altre eccezioni.

E anche perché l’immissione in ruolo è riservata, in linea generale, ai supplenti con tre anni di servizio, e la supplenza è affidata alle persone incluse nelle graduatorie di istituto, per decisione del dirigente scolastico, sulla base di criteri solo in parte comuni (titoli, servizi prestati, relativi punteggi), quindi con forti differenze da zona a zona, in relazione al numero dei richiedenti. Quindi, possono esserci forti disparità tra i precari che vanno immessi in ruolo, perché possono essere stati scelti a suo tempo in modi e in condizioni diversi, per non parlare delle pratiche abusive di “costruzione” delle supplenze.

 

Tutto questo farà bene o farà male alla scuola?

Sindacati e sinistra che si oppongono alla selezione in condizioni di eguaglianza e che aspirano alla immissione in ruolo “sic et simpliciter” dei precari dovrebbero riflettere sulla discussione in corso sulla formazione della classe dirigente. Perché si pensa che debbano impegnarsi innanzitutto le imprese private e non la scuola? Non è anche questo un segno di crisi del sistema scolastico? La sinistra e i sindacati vogliono che la scuola peggiori? Perché non considerarla primariamente luogo di erogazione di un fondamentale servizio pubblico, anziché uno strumento di soddisfazione delle istanze di stabilizzazione di forza lavoro precaria?

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