Una scena di "Ecce Bombo" di Nanni Moretti

Ragazzi, ecco il quizzone “poca competenza ma molta trasparenza”

Antonio Gurrado

Le buste a scelta (come dire che prima si barava?) e il ruolo dei docenti? Sempre meno valorizzato. Il caos didattico

Milano. Freud sostiene che si sogni l’esame di maturità alla vigilia di difficoltà insormontabili perché, da studente, lo si è vissuto come tale. Se ne deduce che a partire da quest’estate tutti gli insegnanti delle scuole superiori inizieranno a sognare l’esame, in quanto commissari però, avendolo vissuto come difficoltà insormontabile dopo la riforma con cui il ministero dell’Istruzione ha scelto di cambiarne struttura e senso. E’ prevedibile anche quale sarà la scena che più di ogni altra popolerà gli incubi di docenti: il sorteggio delle buste all’inizio del colloquio orale.

 

La novità più eclatante della nuova maturità – più del ricalibro dei punteggi e dell’eliminazione della terza prova – sta infatti nel perseguimento della trasparenza. Per garantirla, secondo gli auspici del ministro Bussetti mentre annunciava le materie d’esame su Instagram, all’inizio della prova orale ciascun candidato dovrà sorteggiare fra almeno tre buste da cui prendere spunto, previamente preparate dalla commissione. La fortuna cieca sarà mallevadrice dell’equanimità: in parole povere, non solo il culo diventerà fattore non irrilevante nella riuscita del colloquio ma soprattutto quest’escamotage impedirà che le commissioni indirizzino il discorso con domande mirate in base alle inclinazioni o alle capacità testimoniate dai risultati pregressi del candidato. Per chi non si fida dei social, c’è scritto non senza drammaticità sul sito del ministero: “Ciascuno studente potrà scegliere tra una terna di buste. Dal primo all’ultimo candidato. Saranno così garantite trasparenza e pari opportunità a tutti”, sottintendendo in modo un po’ maldestro che decenni di precedenti esami di maturità siano stati opachi e iniqui. Curiosamente, quasi nessuno ha protestato per quest’insinuazione. Alcuni insegnanti di buon senso hanno invece fatto notare che porre domande specifiche a uno specifico candidato, al termine del percorso scolastico, non significa né favorirlo né sfavorirlo bensì riconoscere che l’esame mira a valutare quello “sviluppo dell’identità personale”, non sostituibile con le identità altrui per mezzo di sorteggio, di cui espressamente parla l’articolo uno dello stesso decreto sull’Esame di stato.

 

Sottoinsiemi, descrittori e indicatori

Del resto questa è la maturità del cambiamento e si sa che il principio cardine sotteso all’ideologia governativa è l’onestà; o meglio, il sospetto che chiunque prenda un voto migliore di noi, o di quello dei nostri figli, lo abbia conseguito non per propri meriti ma per indebiti condizionamenti ambientali. Più che ai quiz televisivi come hanno suggerito gli spiritosi, le buste che danzeranno davanti agli occhi dei docenti tormentandone i sonni sono ispirate al modello culturale del concorso pubblico, dove il criterio di trasparenza è imposto dall’acredine dei candidati e soprattutto dalla necessità di selezionare pochi meritevoli, o pochi fortunati, lasciando indietro una pletora di inidonei.

 


Una riforma più fumosa che ambiziosa. L’impressione è che il criterio generale non sia valutare le competenze, ma l’onestà e l’essere buoni cittadini. Le materie da non suddividere, ma nemmeno da unificare. Domande tipo: “Ritieni che le parole di Leopardi siano vicine alla sensibilità giovanile?”


 

Niente di tutto questo accadrà con la nuova maturità, anzi. La seconda costante dell’incubo degli insegnanti sarà anzi l’impossibilità di effettuare un efficace discernimento delle capacità degli studenti. E’ vero che il ministero ha promesso griglie di valutazione centralizzate per le due prove scritte, quella d’italiano comune a tutte le scuole superiori e quella specifica d’indirizzo; ed è vero anche che si è operata una sensata revisione dell’attribuzione del punteggio, che ha incrementato (fino a 40/100) i punti di partenza conseguiti in base al rendimento nell’ultimo triennio scolastico. In questo modo dovrebbe essere premiata la costanza, riducendo l’impatto di una sempre possibile giornata storta sul risultato di un bravo alunno: i restanti 60 punti sono equamente ripartiti fra le prove d’esame, le due scritte e il colloquio orale. Per non parlare delle dettagliatissime tabelle che i delegati del ministero hanno fornito ai futuri commissari e presidenti di commissione per consentire loro di quantificare in modo certosino ogni sfumatura nella valutazione. Esempio, e dei più semplici: i 20 punti per la prova d’italiano vanno attribuiti valutando la prova in centesimi, con un massimo 60 punti per la forma del testo e un massimo di 40 per i contenuti (sulla base di sottoinsiemi calcolati su descrittori e indicatori più dettagliati per i quali non basterebbe questa pagina); dopo di che, intima il Documento di lavoro per la preparazione delle tracce della prima prova scritta, “il punteggio, derivante dalla somma della parte generale e della parte specifica, va riportato a 20 con opportuna proporzione (divisione per 5 + arrotondamento)”.

 

Il sospetto che si avanza fra le coltri dei futuri commissari è che a tanta capillarità numerica corrisponda pressappochismo nella sostanza, per non dire che la prima – unita a griglie altrettanto dettagliate, ai confini del truismo e della tautologia, per stabilire ogni minima competenza da certificare con ogni prova – sia il paravento della seconda. Fumo negli occhi, insomma. Andando a scavare nei testi con cui il ministero ha prospettato i cambiamenti agli interessati, il timore si fa più fondato. Ad esempio, nelle FAQ sul sito del ministero viene promesso che “i livelli di difficoltà delle tracce saranno commisurati al tempo che sarà reso disponibile”. Sembra una banalità ma, applicata alla seconda prova per i licei scientifici che storicamente mette in difficoltà buona parte dei candidati al punto che talvolta la lasciano incompleta, ci si chiede se sottintenda una promessa di semplificazione.

 

La seconda prova non è difficile: è caos

Senza contare che la seconda prova varia quest’anno in modo da apparire molto più minacciosa rispetto agli scorsi esami, in quanto presenta prove miste fra due materie d’indirizzo: latino e greco al classico, matematica e fisica allo scientifico e così via. Gli studenti la temono molto, disorientati dal venire esaminati contemporaneamente su materie adiacenti ma non sempre studiate in connessione. Fanno bene a spaventarsi ma non per la difficoltà in sé: per la confusione, almeno da come traspare dalle “Indicazioni metodologiche e operative” che il ministero ha diramato in febbraio per spiegare che la seconda prova “non richiede un approccio di tipo additivo, tra discipline che non interagiscono tra loro sul piano metodologico e, al più, si limitano a sviluppare argomenti in comune, mantenendo, quindi, inalterata la propria specifica metodologia didattica ed il proprio assetto programmatico”. Quindi la seconda prova non consterà di quesiti (o versioni o problemi) afferenti alle due materie giustapposte, poiché il ministero ritiene “necessario muoversi in una dimensione più ampia, che implica un’interazione dei percorsi di apprendimento, guidata da docenti che sviluppano una concertazione a livello di impostazione programmatoria e che impostano il loro itinerario curriculare facendo leva, appunto, sui nodi tematici pluridisciplinari”. Se non avete capito, vuol dire che le tracce proporranno “situazioni problematiche dalla risoluzione delle quali la Commissione potrà evincere il livello di raggiungimento degli obiettivi di apprendimento di ciascun indirizzo”. I più pessimisti preconizzano che applicare griglie di valutazione dettagliatissime a prove inedite dalle ambizioni confuse sarà l’anticamera dell’appiattimento dei risultati.

 

Idem per la prima prova, su cui tuttavia la commissione presieduta da Luca Serianni ha optato per soluzioni drastiche ma benefiche: in particolare, l’eliminazione della forma artificiosa del saggio breve, in cui al candidato veniva presentato un pacchetto di brani fuori contesto che avrebbe dovuto rimontare in un ragionamento sensato, optando sovente per la soluzione più facile ossia il collage pappagallesco. Lo scritto di italiano è la prova d’esame che scatena gli opinionisti più disparati e la contestazione popolare si è concentrata sull’abolizione del tema di storia, che veniva svolto da percentuali risibili di candidati, grossomodo uno ogni cinque classi. Si è detto che, così facendo, si aboliva la memoria oppure, esagerando un po’ meno, che non è saggio ritagliare le prove d’esame sui gusti dei candidati.

 

In realtà, ai fini della valutazione di per sé, questa variazione non è dirimente. Conta piuttosto vedere come si è tradotta nei fatti l’ambizione di Serianni, superare “l’astratta classificazione della tipologia testuale” in favore di una forma che meglio inquadri le capacità specifiche di ogni singolo candidato. Bene, sembrava dovesse cambiare tutto e invece non solo è rimasta la divisione in tipologie di traccia (A: analisi di un testo letterario; B: produzione di un testo argomentativo; C: riflessione di carattere espositivo) ma, quando sono arrivate da Roma le prime simulazioni per far esercitare gli studenti, le scuole d’Italia si sono ritrovate con una traccia su Pascoli, che invitava a parlare del “tema dell’estraneità, della perdita, dell’isolamento”; una su Elsa Morante, con annesso invito alla carrellata sul “ruolo della Storia nelle opere di finzione da Manzoni in poi”; una su Leopardi, una su Vittorino Andreoli e così via. Non grandi novità, soprattutto Vittorino Andreoli. Il diavolo tuttavia si annida nei dettagli e sussurra che le ragionevoli ambizioni di Serianni sono contraddette dal presupposto ministeriale che, stando alle note esplicative delle tracce, gli studenti non sappiano cosa significhi “tamerice” o “argentino”, “incolume” o “divelto”, e che a diciott’anni e rotti abbiano bisogno di una scaletta precotta con domandine essenziali sulla comprensione del brano: tanta premura getta qualche dubbio sulla loro capacità di “far parlare il testo oltre il suo significato letterale” e di metterlo “in correlazione con l’esperienza formativa e personale dello studente e collocato in un orizzonte storico e culturale più ampio”. Anche in questo caso, è prevedibile negli svolgimenti un misto di autobiografismo e opinionismo un tanto al chilo che cozzerà con l’acribia delle griglie di valutazione.

 

Pareri ed esperienze degli studenti sono il leitmotiv della maturità del cambiamento: “Ritieni che le parole di Leopardi siano vicine alla sensibilità giovanile di oggi?”, oppure “Esprimi il tuo giudizio in merito sull’attualità della violazione dei diritti umani”, esortano le tracce invitando a produrre un testo argomentativo su “problematiche vicine all’orizzonte esperienziale delle studentesse e degli studenti”. E sarà dedicata a “illustrare l’esperienza svolta nei percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento” una specifica sessione della prova orale, da consumarsi con il supporto di una “riflessione scritta, audio o video” che, negli incubi dei commissari, diventerà indistinguibile da un provino di X-Factor.

 

C’è da aspettarsi che agitino le loro notti quasi quanto le famigerate buste, queste esperienze, anche perché saltano fuori anche da lì. Nelle buste, spiega infatti il ministero, “ci saranno materiali che forniranno uno spunto per l’avvio del colloquio. Un testo poetico o in prosa, un quadro, una fotografia, un’immagine tratta da libri, un articolo di giornale, una tabella con dei dati da commentare, un grafico, uno spunto progettuale, una situazione problematica da affrontare”: materiale selezionato considerando “le metodologie adottate, i progetti e le esperienze svolte dalle classi” allo scopo di “analizzare testi, documenti, esperienze, progetti e problemi”. Ogni commissione preparerà un numero di queste buste pari al numero dei candidati più due, così da garantire un equo sorteggio per tutti. Dopo di che, l’incubo si fa nebuloso.

 

Ciò su cui i delegati ministeriali concordano è che in queste buste vada evitata “una rigida distinzione” fra le materie ma, interrogati al riguardo, alcuni di loro hanno negato che i materiali nelle buste costituiscano percorsi tematici pluridisciplinari: quindi non devono suddividere le materie ma nemmeno unificarle. Inoltre, secondo un’interpretazione innovativa, è probabile che agli studenti sia data facoltà di sorteggiare la propria busta un po’ prima del colloquio e di andare in un’altra aula a prepararsi il discorso mentre un docente lo sorveglia. L’autorità dei docenti, però, pare finire lì. Infatti i contenuti delle buste fungono da spunto per ciò che, secondo non pochi esegeti, sarà un monologo onnicomprensivo del candidato; dovere della commissione, stando al Decreto di individuazione delle materie, è curare “l’elaborata articolazione e durata delle fasi del colloquio e il coinvolgimento delle diverse discipline, evitando però una rigida distinzione tra le stesse”. Significa che non si tratterà di interrogazioni in sequenza – molti di noi ricordano ancora la sedia che si sposta per un’ora, di fronte al commissario d’italiano, poi di matematica, poi di filosofia eccetera – bensì di un discorso armonico governato in teoria dall’abilità del candidato, in pratica dalla busta che avrà sorteggiato e dalle esperienze di cui gli consentirà di parlare. Non è chiaro se ai professori sarà consentito porre domande secche su temi non correlati.

 

Cittadinanza e ludopatie

Una sì, in teoria: su Cittadinanza e Costituzione, ultima grande novità di questo esame e dei conseguenti incubi. Anche a essa sarà dedicata una specifica porzione di colloquio, sebbene la formula “domanda-riflessione” riportata nel Decreto sembri sottintendere che sarà una domanda timida, senza punto interrogativo. I nobili termini con la C maiuscola, spiegano i delegati, “assorbono le molte educazioni, da quella alla salute a quella stradale, in risposta anche alle emergenze educative del terzo millennio” ma ciò non implica necessariamente che i maturandi 3.0 saranno incalzati da domande sul divieto di sosta o sull’aerosol: le indicazioni hanno infatti invitato ad annunciare in maggio ai candidati quali progetti seguiti durante l’anno scolastico verranno selezionati come temi su cui riflettere con la domanda di Cittadinanza e Costituzione. Parte del colloquio potrà consistere dunque nel rammentare incontri edificanti su legalità, cyberbullismo, ludopatia eccetera; se una classe non ha partecipato a nessuna iniziativa del genere, pare debba essere interrogata su finezze quali il regolamento d’istituto, poiché “la vita stessa nell’ambiente scolastico rappresenta un campo privilegiato per esercitare diritti e doveri di cittadinanza”. Ecco l’incubo più spaventoso che da oggi tormenterà in eterno i commissari: una maturità che non prepari al futuro, valutando la capacità di affrontarlo, ma si ripieghi su sé stessa, in una scuola che fa domande sulla scuola stessa, con prove d’esame il cui scopo è appianare le differenze anziché vagliarle, con studenti che a forza di esperienze e opinioni personali parlino di sé stessi, e con un voto il cui obiettivo, in risposta alle esigenze educative del terzo millennio, non sia comprovare che il candidato è bravo o volenteroso ma che è un buon cittadino.

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