Foto LaPresse

Perché a Milano un'assemblea d'istituto è diventata un comizio Lgbt

Piero Vietti

In un liceo del centro gli studenti sono passati dall'autogestione all'autocolonizzazione ideologica

Roma. Dall’autogestione all’autocolonizzazione ideologica. In un prestigioso liceo del centro di Milano, uno dei più grandi della città, gli studenti hanno organizzato ieri una lunga assemblea d’Istituto con diversi ospiti esterni alla scuola che hanno parlato di “Aids e malattie trasmissibili”, “Cambiamenti di genere”, “Affettività, Scoperta e Accettazione di sé”, “Stereotipi di Genere”, “Diritti Lgbt”, Storia del movimento Lgbt, “Racconto di esperienze di coming out”, adozioni e unioni civili, “Omosessualità nell’educazione sessuale”, “Omosessualità in storia e letteratura”, “Comunità Transgender: La ‘T’ in LGBT”, “Omosessualità nella musica”, per finire con un focus sulle “categorie meno note del movimento” Lgbt. Il tutto alternato a cineforum a senso unico, con la proiezione di film sull’omosessualità (con immaginiamo, l’immancabile “segue dibattito”).

 

In tempi di diritti per tutti e di dialogo sbandierato a parole, ma raramente seguito dai fatti, la notizia quasi non sorprende, ma tutta la vicenda regala uno spaccato culturale interessante della scuola e della società italiane.

 

A differenza delle altre assemblee mensili, l’appuntamento gay friendly è stato reso noto a studenti e professori soltanto sabato 27 gennaio, con un post sul sito internet della scuola. La circolare della dirigente scolastica è circolata nelle classi il giorno prima dell’assemblea, lunedì 29. Soltanto a quel punto la maggioranza dei professori e degli studenti ha saputo il contenuto degli incontri: troppo tardi per avere qualcosa da ridire. Complice il Consiglio di istituto, che alcuni giorni prima aveva approvato l’ingresso a scuola degli ospiti esterni, senza però entrare nel merito di quello che avrebbero detto.

 

Ma in fondo quale professore avrebbe osato opporsi, con la garanzia di essere additato come omofobo davanti a tutti? Lo stesso vale per gli studenti: chi prova a dire di non essere interessato a partecipare viene bollato addirittura come razzista.

 

Alcuni genitori – il liceo è frequentato da diverse famiglie della Milano bene – chiedono e ottengono dalla preside che vengano garantite attività sostitutive per i ragazzi che non vogliono partecipare alle cinque ore di martellamento Lgbt. L’assemblea, raccontano gli studenti, è un mezzo flop: una classe intera resta a casa a studiare, molti studenti non partecipano agli incontro preferendo ripassare, alcuni appuntamenti previsti saltano per mancanza di pubblico. La dittatura del politicamente corretto su questi temi però fa sì che i contrari all’assemblea non possano esporsi pubblicamente. Gli incontri in programma erano a senso unico, non pensati come dialogo su temi sensibili e problematici. Il fatto che nessuno sapesse nulla dell’assemblea ha impedito un dialogo tra gli organizzatori e chi magari, critico di certe teorie, avrebbe potuto portare punti di vista diversi. La resistenza è fiaccata dal pensiero dominante (dopo anni di battaglie anche i professori più combattivi si stancano), la paura del marchio infamante (“omofobo!”) spesso è più forte della voglia di immolarsi per una giusta causa.

 

La proposta dell’assemblea Lgbt è arrivata dagli studenti del liceo milanese, ma affonda le sue radici nel martellamento ideologico che diversi professori fanno a lezione: sapendo di trovare terreno fertile propongono loro idee diffuse e politicamente corrette, ammantandole di eroismo – la battaglia giusta per i più deboli – ben sapendo quanto sia ormai facile sposarle senza alcun senso critico. Da qui l’assenza di dibattito negli incontri previsti nell’assemblea, e la scelta di portare testimonianze personali, e quindi in fondo difficilmente attaccabili da controdeduzioni generali, facendo leva sul sentimento e quasi mai sulla ragione. Tu chiamala, se vuoi, la nuova scuola democratica.

Di più su questi argomenti:
  • Piero Vietti
  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.