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Il "facilismo" che mina scuola e università

Redazione

Allargare l’istruzione va bene. Ma puntando su qualità e concorrenza

Angelo Panebianco denuncia, partendo dalla astrusa sentenza del Tar che ha bloccato il numero chiuso in alcuni corsi di laurea, un patto scellerato che consiste nel non curarsi affatto della qualità dell’insegnamento occupandosi soltanto di aumentare il numero dei docenti, con effetti deleteri. Ha ragione, e anche su questo foglio si è spesso sottolineato che questo “facilismo” tra l’altro impoverisce in particolare certi insegnamenti per loro natura più rigorosi, come la matematica. Non ci sarebbe nulla da aggiungere se non che anche sul piano quantitativo il livello dell’istruzione superiore in Italia è insufficiente. Naturalmente assumere docenti ignoranti per gonfiare università ridotte a licei prolungati che forniscono un “pezzo di carta” non è una soluzione. Il che non significa però che il problema non esista. E’ inevitabile che la scuola se si allarga perda qualità? Se si continua col patto facilista, certamente. Ma la serietà egli studi non contraddice necessariamente l’espansione dell’istruzione universitaria. Invece di gonfiare a dismisura i corsi esistenti converrebbe creare nuovi atenei, non necessariamente statali, creando un mercato competitivo anche tra i docenti e le università. A questi atenei bisognerebbe dare libertà di assunzione e di licenziamento, oltre che il diritto di stabilire le retribuzioni in base alla qualità e non all’anzianità, insomma al di fuori del circuito burocratico-sindacale. In ogni caso si può allargare l’offerta formativa, finanziando gli atenei in base ai risultati quantitativi e qualitativi. Sulla scuola si deve investire di più, ma non con sistemi distributivi clientelari o burocratici: questo si ottiene solo con una competizione reale e un meccanismo di valutazione dei risultati che non sia una mediazione tra interessi che con l’istruzione non hanno niente a che fare.

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