Sull'obbligatorietà della mensa scolastica c'è in ballo qualcosa in più del panino

Antonio Gurrado

Nell'intenzione di proibire che nelle mense vengano consumati pasti portati da casa si va dritti al ruolo dell'istruzione pubblica in Italia

C'è in ballo qualcosa in più del panino: nell'intenzione di proibire che nelle mense scolastiche vengano consumati pasti portati da casa si va dritti al ruolo dell'istruzione pubblica in Italia. Oggi la IX Commissione del Senato (Agricoltura e produzione agroalimentare) ha recepito un emendamento al disegno di legge 2037 sulla ristorazione collettiva, secondo cui “i servizi di ristorazione scolastica sono parte integrante delle attività formative ed educative erogate dalle istituzioni scolastiche”. Significa che il cibo servito a mensa non è finalizzato solo al nutrimento ma anche alla formazione degli alunni, e che pertanto l'atto di star seduti nello stesso luogo dei compagni a mangiare le loro stesse pietanze ha di per sé valore educativo.

   

Come talvolta accade in Italia, la legge intende rimediare a una sentenza. All'inizio dell'anno scolastico appena concluso, infatti, la corte d'appello di Torino aveva sancito il diritto degli alunni a non avvalersi del servizio mensa bensì a mangiare, qualora preferissero, cibo portato da casa. Curiosamente, anche i giudici torinesi avevano imperniato la propria decisione sul valore educativo della mensa, giungendo però a conclusioni opposte rispetto a quelle dell'emendamento odierno: stando a loro, essendo la mensa un momento formativo al pari del resto dell'orario scolastico, non poteva esserne escluso l'alunno che non intendesse avvalersi del servizio di ristorazione. La corte d'appello aveva dunque sancito giuridicamente l'inopportunità di separare gli alunni, poiché il tempo trascorso a mensa fa parte dell'offerta didattica, accollando all'istituzione pubblica il dovere di accogliere nelle proprie infrastrutture chi volesse sostituire a un'erogazione pubblica (il cibo della mensa) una proprietà privata (il panino preparato dai genitori). Di fatto dunque, per i giudici torinesi, non ha valore educativo il mangiare le stesse pietanze ma solo lo star seduti allo stesso tavolo. La sentenza ha avuto due conseguenze sull'anno scolastico in corso. Anzitutto, circa 6.000 famiglie nella sola Torino hanno rinunciato al servizio, per un quinto del totale coinvolto; e ben 2.000 di esse, stando ai dati forniti dall'assessorato a Repubblica, si trovano nella fascia bassa di reddito che, pertanto, dalla mensa trarrebbe maggiore giovamento economico. Inoltre, a marzo, una circolare ministeriale ha di fatto esteso su territorio nazionale la sentenza della corte d'appello onde neutralizzare l'incombente pronunciamento della Cassazione: alle singole scuole il Miur lasciava margine di stabilire come far consumare all'interno degli ambienti scolastici il pasto portato da casa, di fatto equiparando lo status degli alunni col panino a quello degli alunni cui sono riservate diete speciali. L'emendamento di oggi intende con ogni evidenza ripianare questa concessione.

  

L'accusa che le associazioni di genitori rivolgono ai politici è che l'emendamento rende obbligatorio non solo il servizio mensa ma anche il pagamento del servizio mensa. Sui forum qualcuno si appella alla Costituzione, sempre buona per tutte le stagioni, argomentando che secondo l'articolo 3 tutti i cittadini hanno pari dignità sociale pur essendo diversi per sesso, razza, lingua, religione, opinioni e condizioni; ne consegue, si argomenta, che tutti devono avere diritto all'accesso alla mensa pur essendo diversi per il panino che portano da casa. È dunque questione di capire se il momento della mensa abbia valore educativo per ciò che vi si mangia o per il mero star seduti nella stessa sala. Non sarebbe peregrino domandarsi se possa avere lo stesso valore educativo lo star seduti nella stessa aula studiando ciascuno ciò che gli pare, non volendo avvalersi del servizio dei programmi didattici uniformati.

   

I genitori contrari alla mensa di massa non sono solo preoccupati dei costi: vogliono garantire eccezionalità ai propri figli e desiderano estendere entro le mura scolastiche la propria protezione. Compito dello Stato è decidere dove questa protezione debba invece terminare, perché ci si affidi all'istituzione riconoscendole maggiore competenza od organizzazione nel campo. Riducendolo all'osso, il dibattito attorno all'emendamento sulla ristorazione scolastica verte sulla liceità dell'idea che lo Stato decida per gli alunni al posto delle famiglie; si scrive panino, si legge vaccino.

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