Fila per il pane, New York City, Bain Collection (Foto via Wikimedia)

Perché la scuola dovrebbe occuparsi anche di formare un buon disoccupato

Ugo Cornia

Come moltiplicare i percorsi di alternanza scuola disoccupazione

Si è sentito dire tante volte: è giusto che la scuola sia sempre più presente nella società, e anche più aperta alla società. La scuola non deve essere questo strano monoblocco, isolato dal resto, che si tratti di una torre d’avorio o di una specie di lazzaretto. Sono andate in questo senso le ultime riforme? Ci auguriamo di sì. Per esempio, è molto giusto potenziare questa famosa alternanza scuola lavoro. La scuola, come è noto, deve formare un buon cittadino, che abbia la percezione di essere inserito in una comunità che tutti dobbiamo sviluppare al meglio, ma al tempo stesso questo cittadino dovrebbe diventare un lavoratore, e in questo senso questi periodi di alternanza scuola lavoro devono dare modo al discente di integrarsi, ma integrarsi è un po’ troppo, diciamo che il discente deve aver modo, nonostante stia studiando e si stia formando, di annusare in modo concreto che al di fuori della scuola e al di fuori di casa sua c’è tutto un mondo del lavoro che l’aspetta.

 

Quindi, l’abbiamo appena detto e qui lo ribadiamo, ottima cosa che la scuola prepari e offra al ragazzo questi percorsi di alternanza scuola lavoro. L’alunno uscirà da scuola sapendo già quello che lo aspetta e sarà in grado di orientarsi meglio. E anche per la scuola questa è una grande opportunità di crescita, per entrare in una relazione sempre più stretta e profonda con la parte più attiva della società, il mondo della produzione di beni e servizi e altro, cioè quello che si chiama il mondo del lavoro. Di cui tra l’altro la scuola fa parte, io insegno e quando entro in una scuola lo faccio per lavorare. Quindi, come abbiamo detto, la scuola tenga le orecchie tese e cerchi di interpretare, possibilmente anticipandole, le varie evoluzioni della nostra società. Ma progettare un’alternanza scuola lavoro è sufficiente? Secondo me a questo punto c’è un ma, un grande ma.  

Come a tutti voi, mi capita spesso di ascoltare le notizie che provengono dall’Istat, che io generalmente prendo per buone. Queste notizie parlano continuamente di disoccupazione giovanile. Una gran parte dei nostri giovani esce da scuola e, prima di trovare il primo lavoro, passano mesi e talvolta anni come inoccupati o disoccupati. Una percentuale cospicua, in certe zone d’Italia intorno al cinquanta per cento, resta per anni tendenzialmente disoccupata. A me sembra che la scuola riguardo a questo fenomeno sia in forte ritardo, come se non riuscisse a prenderne atto. Quello che vorrei suggerire è questo: la scuola non deve forse iniziare a proporre dei percorsi di alternanza scuola-disoccupazione? Non si può diventare un buon disoccupato così di punto in bianco. Non si nasce disoccupati. Ci sarà chi è più portato alla disoccupazione come chi è più portato alla musica, ma sarà uno tra tanti. Perché la scuola non inizia ad attivare questi percorsi scuola-disoccupazione e per esempio non prepara gli alunni a stare dieci giorni seduti dalle otto alle tredici su un muretto vicino alla scuola a non far niente con pochissimi soldi in tasca?

 

Questi percorsi scuola-disoccupazione con esercitazioni di gruppo io li vedo bene in terza e quarta superiore, perché in quinta secondo me bisognerebbe fare dei percorsi di scuola-disoccupazione più individuali. Non so, passeggiare da soli per la periferia della propria città imparando a non fare assolutamente niente, iniziando a gestire noia e depressione. Questo dando per scontato che dopo una pausa di riduzione del lavoro il lavoro torni a crescere, perché se non fosse così non bisognerebbe soltanto immaginare di affiancare e alternare i percorsi scuola-lavoro con i percorsi scuola disoccupazione, bisognerebbe pensare di moltiplicare questi percorsi di alternanza scuola disoccupazione con percorsi di disoccupazione diversificati e con particolare attenzione alle evoluzioni della disoccupazione presenti nelle varie città. Per un futuro migliore forse non basta più formare un buon lavoratore, forse dobbiamo formare anche un buon disoccupato, più al passo con il domani.

Di più su questi argomenti: