L'analisi
L'ammuffito pregiudizio anti nucleare non ha più senso
Il governo ha presentato il Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec) a Bruxelles, ma gli obiettivi del 2030 appaiono irrealizzabili e le nuove tecnologie, come l'energia atomica, sono ancora trattate solo con slogan
Che in Italia sia difficile un approccio razionale a questioni facilmente analizzabili coi numeri, e perciò candidate ideali a soluzioni condivise, non sorprende più. Siamo persino abituati a vederle trattate senza nemmeno l’ombra di un numero, ma solo agitando spauracchi e obiettivi utopici, ché tanto basta. L’approvvigionamento energetico di un paese manifatturiero come l’Italia, per il quale sicurezza, continuità e prezzo della fornitura sono fattori cruciali di competitività, dovrebbe essere trattato da tutti, forze politiche ed esperti (per lo meno quelli veri), con assoluto rigore analitico, tanto più in presenza di un ulteriore obiettivo estremamente sfidante della riduzione delle emissioni clima alteranti, sino a emissioni nette nulle nel lungo periodo.
Dieci giorni fa il governo ha consegnato a Bruxelles l’ultima versione del Pniec, il Piano nazionale integrato energia e clima. Non si tratta di una strategia energetica autonoma, rispettosa dei vincoli tecnico-economici, basata su analisi di scenario ottimizzate, con obiettivi realisticamente attuabili. Se così fosse si potrebbe e dovrebbe giudicare, bene o male, la visione del governo italiano. Invece il Pniec è piuttosto un esercizio di “sintesi”: dati gli obiettivi comunitari al 2030, ciascun paese membro dica come pensa di arrivarci. Come appare chiaro da tempo a chiunque provi a cimentarsi seriamente nell’esercizio, gli obiettivi al 2030 (Fit for 55) sono irrealizzabili; e il Pniec ne fornisce plastica prova.
D’altronde come si potrebbe seriamente pensare di aumentare in meno di sette anni dal 19,4 al 39,4 per cento la quota rinnovabile dei consumi finali di energia, quando nei precedenti sette anni è passata dal 17,4 al 19,4 per cento? Ci vorrebbe un tasso di crescita medio annuo oltre sei volte superiore. Tecnicamente ed economicamente impossibile. Del resto, non basterebbe energia elettrica 100 per cento rinnovabile (impresa peraltro improponibile in Italia, scenari alla mano), dal momento che oggi l’energia elettrica soddisfa meno del 22 per cento dei consumi finali. Bisognerebbe pertanto incrementare in modo ancora più consistente l’impiego di calore e carburanti (per autotrasporti) rinnovabili. Così, per esempio, il Pniec indica che le rinnovabili nel settore dei trasporti nei prossimi sette anni dovrebbero crescere a un tasso ben 12 volte superiore a quello dei precedenti sette, incluso il contributo di un parco vetture elettriche, che al 2030 dovrebbero essere di 6,5 milioni di unità (di cui 4,5 milioni elettriche pure). Cioè dovremmo immatricolare circa 700 mila elettriche pure all’anno (un milione all’anno se ci aggiungiamo le ibride plug-in), cioè 14 volte più di oggi!
Numeri che dovrebbero farci riflettere sulle decisioni sinora assunte a livello comunitario e sui necessari urgenti aggiustamenti. Ridurre le emissioni sino ad azzerarle è necessario: proprio per questo vanno definiti con attenzione, paese per paese, scenari e tecnologie abilitanti, in modo da operare scelte ottimali e sostenibili, con riferimento a tempi e tecnologie.
Decisioni delicate come la politica energetica di un grande paese industriale non possono che esser prese con rigorose analisi di scenario, prive di pregiudizi tecnologici. Si scopre così che sino al 2035-37, in Italia dovremo fare il più possibile con sole rinnovabili (anche se non centreremo gli obiettivi del Pniec), poi nuovi e più efficaci contributi arriveranno dopo quella data. Infatti il punto più interessante del Pniec è l’apertura a nuove tecnologie: l’impiego della cattura e sequestro dell’anidride carbonica e il ritorno al nucleare.
Apertura molto interessante, soprattutto per il dichiarato impegno di mettere a punto entro i prossimi due anni il quadro regolatorio necessario ad avviare la costruzione di nuovi reattori nucleari; piuttosto timida per ciò che riguarda il contributo del nucleare nel lungo periodo e per le tecnologie ipotizzate. Sulla quale dovrebbe innescarsi un dibattito costruttivo tra forze politiche ed esperti, per definire scenari ottimizzati che perseguano l’obiettivo dell’azzeramento delle emissioni in Italia nel lungo periodo (quando il fabbisogno di energia elettrica sarà più del doppio di oggi, per le nuove tipologie di impieghi), alle migliori condizioni. Dove per migliori condizioni, ovunque si proceda a confrontare scenari con diversi mix di tecnologie cosiddette low-carbon, si intende: superfici occupate, minor quantità materiali utilizzati, emissioni nel ciclo di vita, costi complessivi del sistema (non solo i costi di tutti generatori, ma anche quelli dei sistemi di accumulo e della rete di trasmissione e distribuzione). E ovviamente nel “fare i conti” si dovranno considerare i reali profili di generazione di solare ed eolico e i profili dei diversi carichi attesi in Italia. Questi studi li facciamo e li pubblichiamo da anni e abbiamo le idee chiarissime su quale sia il mix più sostenibile. Ma sarebbe meglio ragionare tutti insieme, con metodo scientifico, per arrivare a un risultato condiviso.
Ma al posto di questo interessante dibattito, un paio di giorni fa è arrivato un lunare appello che critica il Pniec per essere poco ambizioso e dichiara “possibile, necessario e conveniente” raggiungere in Italia la piena decarbonizzazione solo con le rinnovabili. Non un commento sulle traiettorie impossibili del Pniec, di cui sopra, non una considerazione sulla fattibilità degli obiettivi al 2030. Solo l’attacco all’atavico nemico: il nucleare. Per avversare il quale, non un numero né un confronto tra scenari di lungo periodo, con e senza una quota nucleare, contestualizzati all’Italia, che mostri la sostenibilità dello slogan “100 per cento rinnovabili”. Niente. Solo aggettivi, avverbi, formule vaghe e la trita, stantia, giaculatoria anti nucleare. Che per di più ignora atti straordinari come la recente inclusione del nucleare nella tassonomia verde europea, a seguito del rapporto del Centro Comune di Ricerca che, dopo aver esaminato l’intera filiera, conclude che “non vi è alcuna evidenza scientifica che il nucleare costituisca un rischio per l’uomo e l’ambiente superiore a tutte le altre fonti della tassonomia”. Tra i firmatari dell’appello, Gianni Silvestrini, Stefano Ciafani, Francesco Ferrante, Roberto della Seta e GB Zorzoli, tutti noti inossidabili no-nuke, ma ci sarà tempo e varrà la pena di interloquire anche con loro, se lo vorranno.
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