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Cattivi scienziati

Dalle orche agli uomini. Come la cultura influenza la nascita o l'evoluzione di una specie

Enrico Bucci

Le tradizioni culturali giocano un ruolo importante sia nello sviluppo animale che per gli essere umani. E per le popolazioni moderne, tecnologicamente più avanzate, è possibile che la selezione causata da questo fattore sia più forte di molti altri

Fra coloro che hanno una conoscenza scolastica dei meccanismi evolutivi, è diffusa come unica conoscenza dei meccanismi che portano alla nascita di nuove specie biologiche – la speciazione per antonomasia – l’idea che il motore di tale processo sia la competizione per le risorse, con il conseguente vantaggio selettivo per quegli individui che siano in grado di adattarsi a nicchie ecologiche diverse e meno competitive a causa di mutazioni casuali del loro genotipo.

In alternativa, i libri di testo delle scuole mostrano anche la possibile speciazione dovuta all'isolamento geografico di piccole popolazioni fondatrici, le quali per deriva genica possono allontanarsi di molto dai loro progenitori. Questi due semplici meccanismi costituiscono la conoscenza media che le persone hanno delle ragioni della speciazione, e dunque sono in molti a pensare che l’unico modo in cui essa avviene sia in ultima analisi per competizione e adattamento a nuove nicchie, geografiche o più spesso ecologiche, che determinano un brusco o anche graduale isolamento riproduttivo e quindi la nascita di una nuova specie all’accumularsi delle differenze genetiche, comportamentali e morfologiche. Giò Darwin, in realtà, illustrò con chiarezza un meccanismo alternativo, quello della selezione sessuale, come possibile motore di speciazione, dovuta all’isolamento riproduttivo causato dalla selezione di caratteri accessori che dimostrano la prestanza del sesso portatore di quelli (spesso i maschi) da parte del sesso che effettua la scelta riproduttiva (spesso le femmine), purché i gusti di questo ultimo sesso divergano nella popolazione di partenza.

 

In realtà, sappiamo ormai molto di più circa i meccanismi possibili, sia rispetto ai tempi di Darwin sia rispetto a quanto ricordano molti degli studi scolastici: le vie attraverso cui si può avere una speciazione sono molte di più, e possono essere indipendenti sia dall’adattamento ad una specifica nicchia ecologica, sia dall’isolamento geografico, sia dalla selezione sessuale, sia dalla stessa riproduzione; per di più, la speciazione può essere iniziata da barriere fra popolazioni che non corrispondono a differenze nella sequenza di DNA degli individui componenti. Nelle piante, per esempio, semplici difetti di copia del Dna, con produzione di individui che hanno copie accessorie del corredo genetico (poliploidi), determina un forzato isolamento riproduttivo di questi rispetto ai progenitori; siccome però le piante si riproducono anche per via vegetativa, anche un solo individuo poliploide può dare origine ad una nuova popolazione, interfertile e isolata riproduttivamente, che può quindi differenziarsi in una nuova specie con semplicità. Il 15 per cento delle specie di piante a fiore e il 31 per cento delle felci hanno avuto origine in questo modo.

 

Il cambio di architettura del genoma, in assenza di isolamento geografico, può portare a speciazione anche in organismi che producono una prole numerosa, come nei pesci ciclidi dei laghi africani; la prole di individui con questi accidentali cambi sarò interfertile, e se i tratti ottenuti saranno vantaggiosi, una nuova specie sorgerà. Più raramente, come sanno i lettori di questa pagina, un organismo può acquisire interi pezzi di genoma a causa di infezioni virali che integrano DNA esogeno; se questo processo avviene nei gameti, e se si generano nei sessi opposti inserzioni compatibili, si ha speciazione per lo sviluppo di nuovi tratti, come avvenuto per la placenta diversa in diverse specie di roditori e nei primati.

 

Senza che vi sia preliminarmente un isolamento geografico o ecologico, si può avere speciazione anche quando un particolare cambiamento genetico influenza la trasmissione di informazioni fra i sessi, alterando la ricezione o l’emissione dei segnali che servono per l’accoppiamento. Un cambiamento nei canali del potassio di certi pesci che comunicano mediante segnali elettrici nei laghi africani provoca l’insorgenza di “dialetti elettrici” diversi, e quindi l’isolamento riproduttivo e la speciazione dei mutanti, nello stesso lago e senza adattamenti ecologici preliminari. Persino le modifiche epigenetiche, sotto forma di metilazione differenziale ed ereditabile del DNA, possono portare a speciazione, anche nei vertebrati, senza separazione geografica e senza differenze significative nel genoma, inducendo divergenze di comportamento e di morfologia sufficienti all’isolamento riproduttivo; in questo caso, come nei libri scolastici, la diversificazione si accompagna ad adattamenti ecologici diversi, ma, diversamente dal modello che di solito è insegnato, i tratti che generano l’isolamento riproduttivo non sono fissati nella sequenza del DNA.

 

In definitiva, come si vede, i meccanismi anche concorrenti che possono isolare una popolazione all’interno di una specie, per dare origine ad un’altra, sono molto vari quanto al fattore in grado di determinare tale isolamento; ma ve ne è uno, di cui ancora non si è fatto cenno, che vorrei portare qui all’attenzione del lettore. Tradizioni culturalmente trasmesse possono avere un impatto nella scelta del partner per la riproduzione; in questo modo, differenze casuali in queste tradizioni possono creare un isolamento riproduttivo che secondariamente, per deriva genica, porta all’insorgenza di specie diverse. Sto dicendo, in sostanza, che l’isolamento riproduttivo può essere originato da incompatibilità di comportamenti appresi e trasmessi culturalmente in una popolazione, generando sottopopolazioni che si accoppieranno preferenzialmente fra individui con la stessa tradizione culturale, iniziando un processo di speciazione in assenza di qualsiasi barriera originaria e senza differenze di adattamento ecologico.
 

Il primo esempio di un tale tipo di fenomeno è stato verificato nei fringuelli di Darwin: in questi uccelli, i maschi apprendono il canto riproduttivo dal proprio padre, trasmettendo la tradizione ai propri figli maschi, mentre le femmine si accoppiano solo con individui che cantano il canto della propria specie, ma con piccole variazioni rispetto a quello del proprio padre, per evitare accoppiamenti con i propri parenti diretti. Piccoli errori di apprendimento da parte dei maschi generano quelle variazioni che sono sufficienti alle femmine per scegliere compagni adatti, ma sempre della propria specie; ma siccome, nel tempo, questi piccoli errori possono accumularsi, alla fine si producono gruppi con canti così diversi, da essere isolati riproduttivamente. Così il canto, un tratto in evoluzione, culturalmente ereditato, è un fattore importante nel riconoscimento delle specie e nella scelta del compagno. Vincola l'accoppiamento delle femmine, anche quando non vi è alcuna penalità genetica per l'incrocio, e quindi può svolgere un ruolo cruciale nella formazione delle specie promuovendo l'isolamento genetico

 

I diversi clan di orca, animale cosmopolita, hanno tradizioni culturali in termini di dialetto (clan diversi condividono pochissime vocalizzazioni), tecniche di caccia specifiche (ad esempio spiaggiamento volontario per catturare mammiferi in Sudamerica, produzione di onde per far cadere le foche in acqua nell’Artico, trappole di bolle in Norvegia, caccia alle razze in Nuova Zelanda, endurance-hunting per sfinire i tonni intorno a Gibilterra) e tipo di prede cacciate (come pesci o mammiferi). Ora, sebbene in casi estremi un’orca che abbia appreso certe tradizioni può in taluni casi adattarsi, cambiandole – per esempio consumando pesce invece di mammiferi in cattività, dopo aver visto morire per fame un componente del proprio clan – è stato dimostrato che ritorna al comportamento appreso appena possibile. I clan di orche con cultura diversa tendono ad essere isolati riproduttivamente, non solo dal linguaggio, ma anche dagli altri adattamenti. Sebbene non sia possibile escludere che la divergenza culturale sia stata preceduta da una divergenza ecologica, nelle orche le differenti tradizioni culturali hanno comportato un isolamento riproduttivo anche fra gruppi che vivono nelle stesse aree; tale isolamento è di livello sufficientemente elevato da far sospettare una speciazione incipiente.

 

E nell’uomo? Sebbene tradizionalmente si pensi che le tradizioni culturali adattative, diminuendo il peso della selezione ambientale, rallentino l’evoluzione della nostra specie, in realtà sono ben noti esempi in cui proprio gli adattamenti culturali hanno causato una rapida evoluzione genomica. Per esempio, la diffusione della cultura pastorale ha portato alla selezione della tolleranza al lattosio, così come il consumo tradizionale di piante ad alto contenuto di amido in certe popolazioni ha portato alla moltiplicazione dei geni che sintetizzano l’amilasi. La nostra evoluzione biologica, quindi, risente in modo chiaro anche dell’evoluzione culturale; anzi, per lo meno per le popolazioni moderne tecnologicamente più avanzate, è possibile che la selezione causata dalla cultura sia più forte di molti altri fattori ambientali (anche se non tutti, se pensiamo ad esempio agli agenti infettivi). Se e come, magari in futuro, la segregazione culturale raggiungerà un livello tale da bloccare il flusso genetico fra diverse popolazioni umane, allora è possibile che la nostra specie si dividerà in altre; tuttavia, soprattutto in una specie abbondante come la nostra che fra i propri tratti adattativi ha proprio quello della produzione di innovazione adattativa attraverso lo scambio culturale, per avere l’isolamento riproduttivo a causa di tratti culturali dovremmo immaginare un futuro in cui la difesa dell’identità di una popolazione passi attraverso misure non dissimili da quelle che voleva imporre il nazismo. Possibile, certo, ma si spera ancora non troppo probabile.

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