Un uomo indossa una mascherina nel centro di Wuhan, in Cina (Getty Images)

Cattivi scienziati

Grazie a un nuovo dato, oggi è più chiara l'origine della pandemia

Enrico Bucci

Un servizio pubblicato dall'Atlantic e anticipato dall'Oms fa propendere sempre più la comunità scientifica verso l'ipotesi di una zoonosi partita dal mercato di Wuhan. Ma per capirne la portata si deve mettere ordine su quanto scoperto finora

Circa una settimana fa, è stato fatto filtrare alla stampa, e anticipato all’Oms, un nuovo dato utile a tracciare la possibile origine della pandemia di Sars-Cov-2: l’isolamento di abbondante materiale genetico di una particolare specie, il cane procione, negli stessi campioni risultati fortemente positivi al virus, provenienti da gabbie e altre strutture del famoso mercato. Ora, per apprezzare la difficoltà, così come il reale significato, di questi nuovi dati, conviene ricostruire fin dall’inizio la storia delle prove circostanziali fin qui ottenute, circa l’origine dell’epidemia a partire da animali vivi venduti nel mercato di Huanan a Wuhan.

 

Fin dal 2020, era noto che alcune specie di carnivori, fra cui il cane procione, si infettano e trasmettono facilmente il virus Sars-Cov-2. Questo risultato era atteso, perché quella specie è nota per essere veicolo di numerose infezioni, anche pericolose per l’uomo, incluso Sars-1: non a caso, un approfondito studio condotto nel 2021 aveva confermato ciò che già si sapeva in meritoFino al giugno 2021, le autorità cinesi avevano negato ciò che tutti sapevano, ovvero che nel mercato di Huanan si vendessero animali vivi, e animali in grado da veicolare Sars-Cov-2 in particolare, suscitando l’ira della comunità scientifica internazionale, quando, un anno e mezzo dopo l’inizio della pandemia, gli scienziati cinesi pubblicarono esattamente il contrario, ovvero che in realtà tali animali erano venduti vivi al mercato di Wuhan fino all’inizio della pandemia.

 

A seguire, si dimostrò che in migliaia di animali, fra cui cani procioni, campionati fra il 2017 e il 2021 nei dintorni di Wuhan, erano presenti virus di ogni tipo, e i salti di specie, anche a partire dai pipistrelli, erano numerosi; poco dopo, si verificò in tessuti di animali venduti a scopo alimentare a Wuhan e nei pipistrelli di quella città, campionati a gennaio 2020, che erano presenti numerosi virus, fra cui diversi coronavirus di vari tipi. A luglio 2022, fu quindi pubblicato un primo studio di epidemiologia molecolare, ottenuto esaminando i campioni dei primi pazienti positivi allo scoppio della pandemia: i ricercatori, esaminando la diversità genomica del virus all'inizio della sua diffusione, trovarono due lignaggi originatisi durante l'inizio della pandemia, prima che il virus iniziasse a propagarsi e mutare in modo esponenziale. Il lignaggio B è stato trovato nelle sequenze genetiche di persone che erano direttamente associate al mercato, mentre il lignaggio A è stato trovato nelle sequenze genetiche di persone che vivevano vicino ad esso. Questo primo dato, ovvero la simultanea presenza fin dall’inizio della pandemia in Wuhan di due diversi lignaggi virali, sembra documentare uno spill-over multiplo, a partire da più animali diversi.

 

In un secondo studio indipendente, pubblicato in contemporanea, i ricercatori mapparono i dati delle prime infezioni a Wuhan e li hanno mappati per quartiere. Scoprirono così che la più alta densità di casi a Wuhan si concentrava proprio intorno al mercato, non solo tra i lavoratori o le persone che avevano legami diretti con le persone che lavoravano lì; ma, cosa ben più importante, scoprirono che le persone più colpite nell’innesco della pandemia erano molto specificamente associate alla frequentazione immediatamente prima dei sintomi di quelle parti del mercato dove si vendevano animali selvatici, compresi i cani procioni e altri animali suscettibili al Sars-CoV-2. Ora, i dati anticipati il 18 marzo dal servizio di “the Atlantic”, confermati dal governo cinese, hanno aggiunto un tassello ulteriore: smentendo i propri stessi precedenti dati, nei campioni prelevati dal mercato di Huanan intorno all’inizio dell’epidemia, per esempio da alcune gabbie usate per tenere vivi gli animali, ora è stato trovato in forte associazione Rna virale con il Dna di quelli, e specialmente di cani procioni.

 

È come se, sulla scena di un delitto, trovassimo in associazione il Dna di un colpevole e della sua vittima: si tratta di un collegamento piuttosto forte tra patogeno e vettore, un collegamento più forte di quelli sin qui emersi. Anche se, fino a questo punto, eccetto nei casi in cui gli animali suscettibili erano stati infettati sperimentalmente, non è mai stato trovato a Wuhan, e nel mercato di Huanan, il genoma del virus in tessuti animali, l’associazione fra gabbie, Dna di animali suscettibili (di cui è nota l’importazione a Wuhan da fattorie che si trovano anche vicino alle famose corone di pipistrelli, e di cui è nota l’infettabilità da pipistrelli) e virus è sufficientemente solida. Si tratta certo, ancora una volta, di una prova circostanziale, per quanto più forte delle precedenti: non esclude, per esempio, che siano esseri umani ad aver contagiato i cani procione nei primi giorni della pandemia. Per questo motivo, sbaglia chi ritiene che il problema dell’origine della pandemia sia ormai definitivamente stato risolto e che sia stato identificato il meccanismo che ha portato al suo innesco; e però il grosso delle prove che abbiamo oggi, e il grosso della comunità scientifica, propende sempre più decisamente verso l’ipotesi di una zoonosi partita dal mercato di Wuhan.

 

Al netto di ipotesi strampalate basate su analisi erronee della sequenza del genoma virale, tese a dimostrare la costruzione in laboratorio del virus (per la quale servirebbero ben altri elementi di fatto), chi sostiene ipotesi alternative, tra cui una minoranza delle agenzie governative americane, afferma di avere prove decisive in grado di essere compatibili con i fatti pubblicati, ma di spostare l’ago della bilancia a favore della teoria di una perdita accidentale da parte di un laboratorio di Wuhan. Tuttavia, finché tali prove non saranno prodotte, e al netto dei numerosissimi ostacoli sin qui frapposti dai cinesi al chiarimento di cosa sia realmente successo, l’evidenza è decisamente a favore di un contagio partito dalle gabbie del mercato di Huanan; senza quindi sbandierare chissà quale dato definitivo, è bene considerare che, anche alla luce degli ultimissimi dati, il problema delle zoonosi per l’eccessivo contatto tra popolazioni umane ed animali selvatici è un’urgenza che richiede l’immediata riconsiderazione di tutte le politiche di allevamento, vendita e mantenimento domestico almeno di certe specie.

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