cattivi scienziati

Funghi e mitocondri. Novità dalla ricerca sull'invecchiamento

Enrico Bucci

Operando al confine fra biochimica, fisica quantistica e fisiologia cellulare, i ricercatori sono riusciti a ottenere un’elegante dimostrazione del ruolo causale di uno dei fattori importanti nell’invecchiamento

Su queste pagine abbiamo qualche tempo fa presentato un’analisi che aveva lo scopo di mostrare i risultati più interessanti in tema di ricerca sull’invecchiamento e sulle ipotesi scientifiche alla prova per rallentarne gli esiti o addirittura superarli del tutto.

Oggi vorrei aggiungere un tassello, discutendo di un interessante insieme di dati pubblicati su Nature Ageing negli ultimi giorni del 2022. Dobbiamo però prima fare qualche passo indietro, per capirne la portata.

Una delle ipotesi da lungo tempo in campo circa i meccanismi causali e i segni dell’invecchiamento ruota intorno alla graduale perdita di funzione da parte dei mitocondri, gli organuli che servono ad ossidare il cibo mediante l’ossigeno che respiriamo e così fornire l’energia ad ogni cellula e quindi al nostro intero corpo. Un passaggio fondamentale attraverso cui questo processo avviene richiede di accumulare cariche elettriche, sotto forma di protoni, all’esterno della matrice del mitocondrio, generando un gradiente di potenziale elettrico; teoria vuole che l’invecchiamento sia anche legato alla graduale perdita di questa capacità, con potenziali elettrici via via più deboli man mano che procede l’età.

Se questo processo fosse causa o effetto dell’invecchiamento, era fino ad oggi poco sicuro: mancava un modo diretto per testare il legame causale, cioè per bloccare la graduale perdita di potenziale elettrico dei mitocondri per un tempo abbastanza lungo – molto più lungo di quanto si può ottenere con i farmaci – e seguire eventuali effetti sull’invecchiamento di un organismo completo.

La natura, tuttavia, ha fornito agli scienziati lo strumento giusto per mettere alla prova le loro ipotesi, uno strumento la cui fonte è fra le più impensabili. Esiste infatti un fungo che, contrariamente a quanto siamo di solito abituati a pensare per questi organismi, è in grado di ricavare energia dalla luce, utilizzando una proteina di una famiglia largamente diffusa per catturare la luce: una rodopsina, cioè una di quelle proteine che sono presenti anche nei nostri occhi, e precisamente nei bastoncelli, consentendo la visione grazie ad un pigmento chiamato retinale. Questa stessa proteina, nel fungo in questione, è modificata per fare tutt’altro: in risposta alla stimolazione luminosa, funziona da pompa di protoni, e può quindi essere usata per generare un gradiente elettrochimico come quello che si genera durante l’attività dei mitocondri. Ribadisco il punto, in parole più povere: esiste in un certo fungo una proteina che, catturando la luce, genera lo stesso potenziale elettrico che si perde, a causa dell’invecchiamento, nei mitocondri.

Ora, sfruttando tecniche avanzate di biologia molecolare, è possibile far produrre alle cellule di un organismo diverso dal fungo la stessa proteina, facendola posizionare proprio sui mitocondri: la cosa è stata fatta su un nematode, un organismo pluricellulare microscopico molto utile per studiare il ciclo di vita degli animali.

E qui arriviamo all’ultimo lavoro, appena pubblicato: illuminando nematodi i cui mitocondri sono modificati con la proteina del fungo, questi sono risultati in grado di generare grazie all’energia luminosa un persistente potenziale elettrico sui mitocondri stessi, pompando protoni fuori dalla matrice mitocondriale utilizzando la luce invece che l’ossidazione del cibo. Come dei microscopici pannelli solari, agganciati all’ “impianto elettrico” della cellula, le proteine del fungo hanno convertito fotoni in potenziale elettrico direttamente utilizzabile. Il risultato è stato non solo che i nematodi hanno potuto prosperare, ricavando energia dalla luce, ma anche che i segni dell’invecchiamento sono regrediti, ringiovanendo gli organismi esposti alla radiazione luminosa e allungandone notevolmente la vita.

Tre diversi laboratori hanno replicato indipendentemente il risultato, dimostrandone così la robustezza.   

A questo punto, è chiaro che il declino della funzione mitocondriale è fra i fattori causali dell’invecchiamento, e che il ripristino di tale funzione è in grado di ringiovanire un organismo; ma vorrei anche far riflettere il lettore sulla bellezza del processo dimostrativo di questa ipotesi. Come in un lego molecolare, la conoscenza perfetta del meccanismo attraverso cui noi utilizziamo l’ossigeno che respiriamo per ricavare energia, oltre alla delucidazione accurata del funzionamento di una proteina sensibile alla luce che svolge tutto un altro lavoro, ha consentito di costruire qualcosa di diverso, cioè un essere vivente in grado di vivere grazie all’energia della luce, aggiungendo un solo pezzo perfettamente adattabile alla complessa chimica che lo fa vivere.

Operando al confine fra biochimica, fisica quantistica e fisiologia cellulare, siamo riusciti a ottenere un’elegante dimostrazione non solo del ruolo causale di uno dei fattori importanti nell’invecchiamento, ma anche della coerenza e validità di tutta la conoscenza necessaria ad ottenere questo risultato; ed è la bellezza e la potenza di questa teoria integrata che, ancora una volta, ci troviamo a contemplare grazie al lavoro dei ricercatori, guardando a un piccolo animale divenuto capace di nutrirsi di luce, senza aspettare il tempo e il caso dell’evoluzione darwiniana.

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