(foto Ansa)

cattivi scienziati

I successi dello Human Technopole di Milano fanno ben sperare per la ricerca

Enrico Bucci

Sono appena stati pubblicati su Nature due lavori importanti che iniziano a fare un po’ di luce su uno dei più difficili problemi di oncologia di base. Tutto questo ha visto il contributo fondamentale della nuova struttura milanese

Probabilmente oggi pochi ricordano le critiche rivolte allo Human Technopole di Milano, una struttura il cui progetto iniziale fu definito dalla senatrice a vita Elena Cattaneo “un grande spot fondato sull'improvvisazione”. Da allora, molte cose sembrano cambiate, e, sebbene a costo di molti sforzi di molte persone, alla fine si è apparentemente arrivati ad un processo di ridisegno definito a maggio 2022 dalla stessa senatrice come un “processo pubblico, aperto, inclusivo e trasparente” e “senza precedenti nel nostro Paese”. Vedremo se così sarà davvero; per intanto, io vorrei qui presentare ai miei lettori uno dei primi risultati tangibili che il mastodontico investimento pubblico ha prodotto.

Sono appena stati pubblicati infatti in simultanea su Nature due lavori importanti che iniziano a fare un po’ di luce su uno dei più difficili problemi di oncologia di base, ovvero l’evoluzione nel nostro corpo dei tumori solidi, i quali si modificano durante la malattia e la terapia in modo da resistere agli interventi dei medici e del sistema immunitario per eradicarli.

Prima di discutere l’importanza dei due lavori, mi si consenta di sottolineare un punto che credo sia rilevante: di entrambi i lavori è autore corrispondente Andrea Sottoriva, che è il responsabile del centro di Biologia Computazionale proprio dello Human Technopole di Milano, e hanno variamente contribuito ai lavori Timon Heide, Alessandro Vinceti e Francesco Iorio, pure affiliati allo stesso centro.

Avere due articoli con lo stesso autore corrispondente in un singolo numero di Nature è insolito ed eccezionale, e significa che i risultati ottenuti hanno meritato ampio spazio su una delle più prestigiose riviste scientifiche al mondo; tutto questo ha visto il contributo fondamentale della nuova struttura di Milano, e per questo possiamo assumere come non del tutto infondata la speranza che nel nostro paese, l’eccezionale investimento richiesto ai cittadini, che con le loro tasse pagano il tutto, non risulti poi vano come è accaduto in troppi altri casi.

Veniamo quindi al contenuto degli studi: in sostanza, in entrambi i casi il risultato che credo sia più interessante consiste nel dimostrare come almeno nel cancro del colon retto, uno dei grandi killer dell’umanità moderna, la variabilità che si riscontra fra le cellule cancerose, la quale è responsabile dell’evoluzione del cancro perché genera una varietà di cellule tali che almeno alcune resistano alle condizioni avverse più disparate, è spiegata solo in parte minore da mutazioni genetiche nelle cellule stesse.

 

In particolare, nel primo studio si dimostra come ciò che le cellule cancerose fanno – e più precisamente il tipo e soprattutto la varietà e l’abbondanza relativa delle proteine che esse producono, ovvero dell’arsenale di strumenti di cui si dotano per scampare alle condizioni avverse e meglio proliferare – non è guidato che in minima parte dalle diverse mutazioni che via via possono differenziare una cellula cancerosa da un’altra, anche nello stesso tumore. Le cellule tumorali, cioè, nonostante siano molto diverse fra loro, non hanno a livello del loro DNA differenze sufficienti a spiegare perché.

Il secondo studio mostra uno dei meccanismi principali attraverso cui, a DNA costante, si produce differenza nel tumore: in sostanza, è l’accessibilità ai geni importanti per le funzioni del cancro (e di riflesso anche ad altri) che viene modificata differentemente in cellule tumorali diverse, così che a parità di sequenza di DNA, alcune cellule fanno una cosa, altre un’altra. Il meccanismo di diversificazione delle cellule cancerose, cioè, è epigenetico, più che genetico; e questo permette una rapida selezione delle cellule tumorali più adatte ad invadere il nostro corpo, senza necessità di attendere rari eventi che inducano proprio le mutazioni giuste a rendere un cancro resistente alla terapia, metastatico, invasivo e così via.

Per apprezzare fino in fondo il valore di questi risultati, si pensi che, al giorno d’oggi, ciò che i clinici cercano per indirizzare la terapia al meglio sono mutazioni di significato clinico nei tumori, mutazioni cioè che consentono sia una diagnosi differenziale sia, eventualmente, la scelta di farmaci mirati a correggere la loro azione dannosa. Se però il grosso dell’evoluzione di un cancro dipende non da tali mutazioni, ma dai meccanismi appena descritti, allora bisognerà riconsiderare il tipo di analisi utili ad indirizzare la terapia: insieme alla ricerca delle mutazioni a livello di DNA, probabilmente saranno le analisi volte a determinare il livello di certe proteine espresse dai tumori ad acquisire importanza, indipendentemente dallo stato del DNA. Queste analisi hanno il potenziale di cambiare la terapia, anche per tutti quei tumori – e sono la maggioranza – in cui non è possibile identificare mutazioni di rilievo clinico, personalizzando il trattamento sul tipo e sullo stadio evolutivo di un tumore. E se ciò avverrà, un mattone importante sarà stato messo grazie anche ai ricercatori che lavorano nella struttura finanziata con il maggior investimento in ricerca mai realizzato dal cittadino italiano. Speriamo che si continui in questa direzione, e che non tocchi essere nuovamente delusi come in passato.

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