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soluzioni alternative

Sete di bollicine. Tra acqua frizzante, medicina e cambiamento climatico

Maurizio Stefanini

Troppa CO2 nell’atmosfera e troppo poca sul mercato. Ma la crisi delle bevande gassate è l’occasione ghiotta per uno sviluppo circolare 

Due allarmi sull’anidride carbonica in contemporanea vengono a intasare un’agenda mondiale già apocalittica per pandemia, guerra, carestia, siccità, perfino cavallette. Il primo è molto grave: c’è nel mondo troppa anidride carbonica! Ma anche il secondo è molto grave: non si trova più anidride carbonica! Ci sarebbe peraltro anche un terzo avvertimento: in realtà, l’anidride carbonica non esiste proprio!
Cominciamo a mettere ordine, con lo spiegare che quest’ultima è pignoleria da scienziati. L’avete letta l’Utopia di Tommaso Moro? Nel libro che lanciò il termine, di quell’isola che ospitava una società ideale riferiva Raffaele Itlodeo, spiegando che la governava il principe Ademo dalla capitale Amauroto che era attraversata dal fiume Anidro. Moro è una singolare figura di santo e martire che fu al contempo non solo un raffinato intellettuale e un politico, ma anche un gran burlone. Traducendo dal greco: a Raffaele Raccontabugie fa descrivere la società ideale dell’isola Innessunluogo governata dal principe Senzapopolo dalla capitale Cittànascosta attraversata dal fiume Senzacqua! E anidride, appunto, in chimica è un composto organico “senza acqua”, o più precisamente senza la componente idrogeno (H) dell’acqua (H2O), mentre c’è l’ossigeno (O) col carbonio (C) nel gruppo funzionale -CO-O-CO-. 

 

A parte l'effetto serra, troppa CO2 può influire sulle capacità di crescita delle specie vegetali e favorire la proliferazione di batteri anaerobici

 

Ma, appunto, c’è quella  Unione internazionale di chimica pura e applicata che fu costituita nel 1919 a Londra anche per uniformare il linguaggio degli scienziati. E la Iuopac ha deciso che il termine “anidride” si deve applicare solo a composti organici. E la CO2 è inorganica! Dunque, un chimico non userà mai il termine ancora in uso nel linguaggio popolare “anidride carbonica”, ma dirò piuttosto “diossido di carbonio”, o “biossido di carbonio”. Una molecola con un atomo di carbonio e due di ossigeno che viene emessa come rifiuto dagli organismi che ottengono energia dall’ossidazione degli zuccheri o dei grassi. Infatti, nell’aria passa dallo 0,04 per cento normale al 4,5 dopo l’esalazione di un respiro. E oltre il 5 uccide uomini e animali per asfissia, saturando l’emoglobina del sangue fino a impedirle di legarsi all’ossigeno, e bloccando quindi l’ossigenazione dei tessuti. 

 

Insomma, con la formula CO2 non ci sono problemi di definizione. Sembrano esserci invece problemi di comprensione per quel che accade. Parlare al tempo stesso di troppa CO2 e di CO2 che non si trova; non sembra assurdo? Ma entrambi gli avvertimenti arrivano da fonti serissime. E’ infatti l’Organizzazione mondiale della meteorologia (Omm) che lo scorso maggio segnalò una concentrazione di CO2 nell’atmosfera terrestre ormai di 419 parti per milione. Roba che per ritrovarla bisogna tornare indietro ad almeno 3 milioni di anni fa, a quel Pliocene quando la temperatura media del pianeta era 3-4 gradi più calda, il livello dei mari 20 metri più alto e l’Antartide era coperta di alberi. Anzi, secondo i dati dell’osservatorio del vulcano Mauna Loa e gli studi del Potsdam Institute for Climate Impact Research, il livello di allora sarebbe stato raggiunto già dall’aprile del 2019. Poi lo abbiamo superato, e continuiamo ad aumentare. Più precisamente: nel 2022 siamo arrivati a quota 420; nel 2020 eravamo a 417; per circa 6.000 anni di civiltà umana è stato sui 280. 

 

“Visto da destra visto da sinistra”, diceva Guareschi. Da una parte, si potrebbe allora osservare che quel livello si ottenne senza apporto antropico, anche se non ne è ben chiara l’origine. Tra gli indiziati si va dai vulcani alla circolazione oceanica, passando per cicli orbitali o emissioni di metano. Dall’altra, si ribatte che comunque l’uomo è ora riuscito a ottenere un risultato simile tutto da solo. Un aumento dell’effetto serra imputabile alla produzione umana di anidride carbonica fu ipotizzato già nel 1896 dallo svedese Svante Arrhenius, che sette anni dopo avrebbe ricevuto il Nobel per la Chimica. Secondo l’Intergovernmental Panel on Climate Change, il cambiamento climatico da Rivoluzione industriale diventerebbe importante dal 1850. E qui i colpevoli sono più chiaramente individuati: combustibili fossili; produzione di cemento; rutti e peti da animali di allevamento, che può far ridere ma sono a loro volta una fonte importante; minor riassorbimento da parte della vegetazione per disboscamento; incendi. 

 

A parte creare un filtro nell’atmosfera da cui vengono l’effetto serra e il riscaldamento, troppe molecole di CO2 possono influire sulle effettive capacità di crescita delle specie vegetali. E favorire la proliferazione di batteri anaerobici. E ridurre la biodiversità, da cui rischio di contagio di malattie dagli animali all’uomo. E creare sindromi respiratorie. E ridurre la fecondità. E interferire con la corretta ossigenazione del sangue. Da qui, appunto, tutta la famosa agenda sulla transizione ecologica che punta a riequilibrare la situazione non solo riducendo le emissioni e aumentando la vegetazione, che con luce e acqua trasforma la CO2 in ossigeno e glucosio attraverso la fotosintesi clorofilliana; ma anche attraverso tecnologie come quelle in cui è specializzata Carbfix. Un’azienda islandese che cattura l’anidride carbonica e la inietta nel terreno, trasformandola in altri materiali.

 

Joseph Priestley, amico di Benjamin Franklin, intrigato dal gorgoglio dell'"aria fissa", si convince possa avere effetto contro alcune malattie

 

Ma prima di essere chiamata anidride carbonica, diossido di carbonio o biossido di carbonio, anche prima ancora che se ne definisse la formula, la CO2 era stato “spirito della foresta”. Anzi, “spiritis sylvestris”, in latino. La parola la crea nel 1610 il medico fiammingo Jean Baptiste van Helmont, autore di esperimenti che segnano il passaggio tra l’alchimia degli antichi e la chimica moderna, e anche inventore della parola “gas”, che sarebbe poi la semplice pronuncia olandese-fiamminga del greco “chaos”. A un certo punto intuisce infatti che il “gas” prodotto dalla combustione del carbone è lo stesso che viene dalla fermentazione del mosto, e gli dà appunto un nome. Centoquarant’anni dopo, il medico scozzese Joseph Black in cerca di un solvente per calcoli renali si mette a trafficare con la “magnesia bianca”, oggi nota come carbonato di magnesio. Non funziona, ma è intrigato dall’effervescenza che produce a contatto con l’acido. Prova allora a scaldarla prima di miscelarla, vede che non forma più bolle, la pesa, vede che ha perso qualcosa, e definisce ciò che è andato via “aria fissa”. Che è lo stesso “spirito silvestre” di van Helmont, di cui dimostra che può venire emesso da fonti diverse, e che può causare la morte degli esseri viventi.

 

Siamo nel secolo dei Lumi, e sull’“aria fissa” si buttano subito in tanti. Inglese dello Yorkshire, Joseph Priestley è pastore di quella chiesa presbiteriana che in Scozia è maggioranza, ma in Inghilterra conta poco. Per di più ha fatto amicizia con Benjamin Franklin, e conversando con lui ha iniziato a trascurare la teologia per due nuove vocazioni: politica e chimica. Alla prima, si devono alcuni sermoni nei quali si schiera con i ribelli americani, e che provocano le ire patriottiche di fedeli e autorità. Costretto a scappare, nel 1767 a 44 anni si rifugia a Leeds, trovando casa presso un birrificio che appunto, in nome della sua seconda vocazione, si mette a visitare spesso. O metteva in ballo la passione della chimica per occultare una terza vocazione di beone?  Comunque, è intrigato dal continuo gorgoglio dell’“aria fissa” nelle vasche piene di infuso di malto. Studiandola in modo sistematico, scopre che estingue le fiamme e causa il soffocamento degli animali, da cui la gran moria di topi sulle botti. Ma, in compenso, fa prosperare le piante. Si convince inoltre che può avere un effetto benefico contro alcune malattie, come lo scorbuto. Ma come somministrarla? Andando a tentoni, prova anche a travasare acqua di bicchiere in bicchiere sopra una vasca di infuso di malto. Sorpresa: l’“aria fissa” si dissolve nel liquido! Nel 1772 pubblica dunque le “Istruzioni per impregnare l’acqua di aria fissa”, facendo gorgogliare attraverso della comune acqua potabile il gas sprigionato da una reazione fra l’acido solforico e il calcare. La sua idea è che l’acqua frizzante così ottenuta potrà essere impiegata sia dai medici che dai militari.

 

Ma l’idea è un flop, e in più dopo l’indipendenza degli Stati Uniti Priestley è sempre più malvisto, indicato come un traditore. Dopo che nel 1791 una sommossa popolare gli ha distrutto casa e laboratorio, nel 1794 va allora nella Pennsylvania del suo amico Franklin, su invito della Democratic Society di New York, Accolto con onori e protetto dallo stesso Thomas Jefferson, si ritira in una fattoria dove vive fino alla morte, nel 1804. Facendo anche in tempo a scoprire il monossido di carbonio.
Ma per un inglese che scappa in America, c’è un orologiaio tedesco trapiantato a Ginevra per matrimonio che nel 1780 inventa un sistema per fabbricare l’acqua frizzante di Priestley su scala industriale, nel 1783 lo brevetta, nel 1790 impianta una fabbrica in Svizzera e nel 1792 apre una filiale a Londra. La sua idea: magari l’acqua frizzante fa anche bene, ma comunque è gradevole al palato, e può costituire una alternativa analcolica alla birra. Il suo nome? Johann Jacob Schweppe, da cui il logo della fabbrica: Schweppes!

 

I problemi del reperimento per i produttori derivano dalle difficoltà di trasporto con camion appositi. E il settore della logistica è in forte difficoltà

 

Inizia così l’avventura delle bibite gassate, che in realtà con la medicina ha continuato spesso a incrociarsi. L’acqua tonica, a esempio, addiziona all’acqua frizzante il chinino per rendere gradevole quell’amarissimo ritrovato anti-malaria, e permettere così la sopravvivenza dei cittadini britannici nelle aree africane e asiatiche dell’Impero vittoriano. Infatti, ci sono funzionari in India che combinando ulteriormente inventano il gin & tonic. Con processo contrario, quando vanno di moda le proprietà terapeutiche della coca nel 1860 il farmacista corso Angelo Mariani lancia un Vin Mariani consumato anche da papi. Ma in America proprio per quel tocco di alcol viene visto con sospetto da ambienti già pre-proibizionisti, e così nel 1886 il farmacista di Atlanta John Stith Pemberton ha l’idea di sostituire al vino acqua frizzante, creando la Coca-Cola.

 

Ormai sono diffusissime addirittura le macchinette che addizionano direttamente la CO2 all’acqua del rubinetto di casa, magari depurata. Ma appunto, qui a dare il secondo allarme è Assobibe che rappresenta le imprese produttrici di bibite: il gas da bere inizia a scarseggiare, anche perché poi la CO2 non si usa solo per quello. Nel settore alimentare, in particolare,  viene impiegata anche per inibire la crescita della maggior parte dei batteri aerobi e delle muffe. E per decaffeinare il caffè. E per spostare l’aria nel processo di inscatolamento. E per spingere o estrarre prodotti alimentari dai loro contenitori. Ma, a proposito di conservazione del cibo, dal 1866 la CO2 ha iniziato a essere impiegata anche per la produzione del ghiaccio. E tuttora è usatissimo per il congelamento rapido, per la sterilizzazione a freddo degli alimenti, per il trasporto refrigerato dei camion frigo. Molta CO2 va anche per fabbricare fertilizzanti e plastica, o nel comparto sanità.
Anche Alberto Bertone, presidente di quell’acqua Sant’Anna che è uno dei principali marchi di acqua in bottiglia in Italia, in una intervista ha detto di aver dovuto ridurre la produzione di acqua gasata proprio a causa della mancanza di anidride carbonica: “Letteralmente introvabile”! Circa un terzo della produzione di acqua e bibite dell’azienda viene addizionata con CO2. 

 

Non potrebbe essere questo il percorso per ridurre in bollicine il surplus di CO2? La tecnologia per sottrarlo all'atmosfera già esiste

 

Non è ancora un fenomeno mondiale, ma prima che in Italia si era già manifestato nel Regno Unito. I motivi? In realtà, non si sanno con precisione. Ma si possono ipotizzare. Le aziende, a esempio, segnalano i crescenti costi dell’energia, sia per la pandemia che per la guerra. Secondo Assobibe, +550 per cento. Sempre per Assobibe, i problemi sul reperimento della CO2 per i produttori italiani derivano anche dalle difficoltà di trasporto, visto che il prodotto deve essere spostato sotto pressione e a temperatura controllata, spesso con camion appositi. E il settore della logistica è oggi in forte difficoltà, sia per il costo dei carburanti che per la mancanza di personale. Normalmente, poi, la CO2 delle bibite è un prodotto di scarto da altre lavorazioni in ambito chimico, in particolare, nella preparazione di fertilizzanti. In Italia, infatti, uno degli impianti più importanti per la produzione di CO2 per il settore alimentare è lo stabilimento di Ferrara della società Yara, che produce ammoniaca e urea. Da questi processi rimangono grandi quantità di CO2 che invece di essere dispersa nell’atmosfera viene trattenuta, liquefatta ad alta pressione, controllata e poi distribuita alle aziende del comparto alimentare, anche la Coca Cola italiana. 

 

Ma non potrebbe essere appunto questo il percorso per risolvere un problema con l’altro, col ridurre in bollicine il surplus di CO2 del pianeta? Ad esempio, la CO2 della Yara non è presa dall’atmosfera, ma prodotta con metano, che anch’esso risente della crisi degli approvvigionamenti. In realtà, la tecnologia per sottrarre CO2 all’atmosfera già esisterebbe. Ma richiede molto tempo, la CO2 viene venduta a poco, e così il processo è economicamente poco sostenibile. Potrebbe proprio essere questa contingenza a incentivare un suo sviluppo?  
Da Coldiretti Torino viene una disponibilità “a discutere un progetto di filiera con gli industriali delle bevande gassate” con la diffusione dei “biodigestori di nuova generazione”. “Gli allevamenti da ‘problema ambientale’ diventano addirittura risorsa energetica e industriale. Un settore importantissimo su cui occorre indirizzare risorse del Pnrr e che toglie argomenti a chi, strumentalmente, accusa l’agricoltura di inquinare l’aria più del settore dei trasporti e dell’industria”. A  Candiolo, presso Torino, una cooperativa Speranza di allevatori di bovini già produce “metano che presenta una purezza superiore a quello fossile. E prima di produrre metano, nel processo di refrigerazione il bioreattore di Candiolo separa proprio l’anidride carbonica. Anche questa viene liquefatta, a temperature intorno ai -40 gradi, rendendola così priva di impurità e trasportabile con cisterne”.
Obiezione immaginabile: ma che, proprio i già citati rutti e peti di bestiame diventeranno bollicine da bibite? Sì, magari fa pure un po’ di impressione. Ma, insomma, ’sto pianeta lo vogliamo salvare o no?

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