cattivi scienziati
Dal Dna di Pompei una lezione sulla diffusione della tubercolosi
I ricercatori sono riusciti a sequenziare l'intero genoma di una delle vittime dell'eruzione, trovando una compatibilità con il batterio della malattia infettiva arrivata fino all'inizio del secolo scorso. Senza la scienza saremmo sopraffatti dai parassiti
L’accentuarsi dei contatti tra persone diverse dovuto all’espandersi della popolazione, all’incrementarsi dei viaggi e degli scambi su lunga distanza e ai flussi migratori fra paesi lontani è alla base del rischio epidemiologico. Abbiamo osservato più volte come sia il nostro stile di vita, la nostra numerosità e la nostra invadenza nell’ambiente circostante ad aver preparato le condizioni per la pandemia attuale, e abbiamo detto come questo rischio è aumentato recentemente a causa dell’incrementarsi rapido di queste condizioni; tuttavia, il fenomeno in sé non è nuovo, e la conferma dell’importanza di questi fattori ci giunge, sorprendentemente, da un lavoro di ricerca recente.
Da tempo a Pompei è in corso lo studio del Dna degli esseri umani e degli animali periti nell’eruzione verificatasi nell’ottobre del 79. Negli anni passati, questo studio ha permesso di identificare l’ascendenza materna di molti individui, come due adulti e due bambini ritrovati nella casa del bracciale d’oro, che, contrariamente a quanto ipotizzato in origine, erano tutti maschi e non imparentati fra loro, un individuo trovato nella Villa dei Misteri, ancora una volta un maschio, forse di origine mediorientale, due individui trovati nel criptoportico, l’uno con la testa nel grembo dell’altro, di cui, contrariamente alle ipotesi originali, almeno uno è risultato un uomo e 13 altri individui, trovati tutti insieme nella casa di Polibio, di cui almeno sei sono risultati componenti di una stessa famiglia. Giunge oggi un ultimo studio che ha portato ad una caratterizzazione di un ulteriore individuo, un giovane uomo trentenne trovato appoggiato ad un triclinio nella cosiddetta casa del fabbro.
Sui giornali si è enfatizzato molto il dato che riguarda il sequenziamento del Dna di questo individuo, perché i dati ottenuti riguardano il suo intero genoma, e non più solo alcune piccole porzioni di esso; pur se la qualità dei campioni ottenuti è subottimale, e i risultati ottenuti sono quindi parziali, certamente si tratta di un progresso tecnico ulteriore, verso la piena caratterizzazione dell’antica popolazione di Pompei. Nel caso specifico, l’individuo esaminato risulta appartenere alle popolazioni centro-italiche, con una forte componente mediorientale; una situazione piuttosto comune all’epoca. Tuttavia, l’aspetto più interessante è forse un altro, ed è su questo che vorrei richiamare l’attenzione del lettore. Il soggetto in questione era affetto da chiare lesioni ossee alle vertebre, una condizione dolorosa che è compatibile con molte diverse condizioni, fra cui la forma ossea della tubercolosi. Ora, i ricercatori sono riusciti ad ottenere dai resti ossei anche Dna compatibile con il batterio della tubercolosi; la qualità del campione non è risultata sufficiente per arrivare fino all’identificazione della specie precisa, ma si tratta effettivamente di Dna che sembra di origine antica, non frutto di contaminazione, e il suo ritrovamento in corrispondenza di un individuo con lesioni compatibili con la tubercolosi lascia pochi dubbi.
Si tratta di una conferma spettacolare di altri dati, ottenuti attraverso il sequenziamento del genoma del batterio della tubercolosi, che avevano già ricostruito l’origine e la dispersione di questo patogeno negli ultimi 6000 anni. I batteri della tubercolosi sono suddivisi in sette gruppi originatisi, attorno al 3000 a.C., da un antenato comune in Africa occidentale. Tre di tali gruppi si trovano ancora oggi solo in Africa; gli altri sono gradualmente diventati cosmopoliti. Guardando ai dati ricavati dal genoma dei batteri, la principale ondata di espansione si verificò nel primo secolo dopo Cristo e interessò innanzitutto il bacino del Mediterraneo, proprio quando visse il povero pompeiano trovato nella casa del fabbro.
In questa epoca, anche gli studi del Dna umano degli antichi romani piazzano l’arrivo di un imponente flusso umano dal Medioriente, insieme con altri minori da altre parti del nascente impero romano: l’espansione demografica, dei viaggi e degli scambi provocò naturalmente l’arrivo sia di persone che di malattie, entrambi provenienti particolarmente dai più popolosi centri conquistati dai romani – che si trovavano in Nordafrica e nell’est del mediterraneo, non certo nell’Europa nordoccidentale. Allora come oggi, con la globalizzazione si diffusero le prime pandemie, compresa la tubercolosi che affliggeva il cittadino di Pompei appena esaminato, e che ha continuato a uccidere fino ad arrivare al mio bisnonno e alla sua giovane figlia negli anni ’30 del secolo scorso. Senza vaccini, farmaci e conoscenza scientifica, saremmo presto sopraffatti dai parassiti, perché oggi viviamo in un mondo epidemiologicamente peggiore del suo, e perché virus e batteri, come insegna la tubercolosi, non sono diventati più rispettosi della vita umana in 6000 anni.