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Cattivi Scienziati

I vaccini a RNA offrono molti vantaggi, ma i tempi di produzione sono lunghi

Enrico Bucci

Inseguire varianti molto trasmissibili può essere impossibile; questo significa che, in ogni caso, bisogna andare verso vaccini a più ampio spettro il prima possibile

Si è diffusamente parlato del fatto che la nuova e promettentissima tecnologia dei vaccini a RNA offre, fra gli altri vantaggi, la possibilità di ottenere molto più rapidamente vaccini ottimizzati contro patogeni di interesse, a partire dal sequenziamento del loro genoma. Leggere l’informazione genetica di un parassita e quindi ottenere costrutti in grado di produrre potenziali antigeni, da usare per le prove di immunogenicità, è un passo formidabile rispetto a dover ottimizzare la produzione di un virus o delle proteine ricombinanti o anche dei vaccini a vettore virale giusti; questo dice la teoria, e questo è quanto i biologi molecolari come il sottoscritto si affannano a ripetere.


Tuttavia, la produzione di un vaccino, specialmente su larga scala, non è mai semplicemente un problema scientifico e tecnico; gli interessi e gli attori economici costituiscono vincoli altrettanto seri di una difficoltà tecnica, e, come ho spesso ripetuto a proposito dell’ottenimento di un vaccino pan-coronavirus, possono rallentare la disponibilità del prodotto oltre il momento in cui sarebbe più necessario.
Visti i tempi con cui per esempio si arriverà – se si arriverà – a vaccini disegnati ad hoc per la variante Omicron, l’esempio primario di come sia possibile ottenere un qualsiasi vaccino a RNA in modo rapido potrebbe sembrare mancante; e qui, intendiamoci bene, non sto discutendo del fatto che sia utile o inutile contro la variante Omicron, ma del fatto che sembra mancare la dimostrazione di quell’assunto e di quel vantaggio di cui si discuteva in apertura di questo scritto.
In queste condizioni, è particolarmente benvenuta la pubblicazione di una lettera di studiosi cinesi indirizzata ad una rivista del gruppo Nature.


Si tratta dello stesso gruppo di ricercatori che ha prodotto il primo vaccino a RNA cinese, denominato ARCoV, che si distingue principalmente dai prodotti precedenti per essere basati su un pezzetto della proteina Spike, il dominio RBD di legame ad ACE-2, anziché la proteina intera.
Questo vaccino è in sviluppo clinico, e produce anticorpi neutralizzanti ed effetti finora non dissimili dai suoi predecessori; come per quelli, i ricercatori riportano nella lettera citata che i sieri di soggetti umani vaccinati con due dosi del loro prodotto mostrano una molto diminuita capacità di neutralizzare Omicron. Al contrario, tre dosi del vaccino originario così come una versione ottimizzata per Omicron, vale a dire corrispondente al dominio RBD della Spike mutata, inducono in animale una robusta risposta contro quest’ultima variante pandemica, con differenza statisticamente non significativa, proprio come osservato per i vaccini a RNA attualmente in uso e come abbiamo riportato su queste pagine.


Il punto più interessante della lettera, tuttavia, è un altro. Nella sua conclusione, gli autori riportano quanto segue: “A partire dalla sequenza Omicron RBD, ci sono voluti 32 giorni per ottenere la prima serie di risultati di immunogenicità da studi sugli animali e il vaccino di grado clinico sarà pronto in meno di 3 settimane”.

Questa è finalmente la dimostrazione di quale sia il tempo richiesto, almeno quando a dirigere il tutto è lo Stato, perché tutta la validazione di efficacia in animale e la preparazione del prodotto per uso clinico siano completate: 2 mesi. Può sembrare – e lo è – un tempo prodigiosamente ridotto, ma ad esso va aggiunto quello di sperimentazione clinica minimo, che considerato i tempi di osservazione dopo la vaccinazione non può essere inferiore a 3-4 mesi per ottenere almeno preliminarissimi dati ad interim su sicurezza ed efficacia. Visto il tempo di propagazione di nuovi patogeni, come Sars-CoV-2 Omicron, questi tempi, pur ridottissimi rispetto a quelli tradizionali, implicano una serie di conseguenze. Innanzitutto, inseguire varianti molto trasmissibili può essere impossibile; questo significa che, in ogni caso, bisogna andare verso vaccini a più ampio spettro il prima possibile. In secondo luogo, la sorveglianza genomica per intercettare quanto prima varianti di cui è possibile predire prima ancora di testare proprietà immunoevasive nei confronti dei vaccini disponibili (come avvenuto nel caso di Omicron) deve essere intensificata. Infine, vaccini con più epitopi sia di tipo B che di tipo T, e quindi con più bassa probabilità di essere messi fuori gioco dalle mutazioni in modo rapido, sono da preferirsi. La ricerca sta muovendosi esattamente su questi filoni; ma bisogna tener conto che, al contrario che in Cina, lo stato da noi è assente nella fase industriale, e non è detto che l’interesse del mercato coincida con quello pubblico.

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