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cattivi scienziati

La presunta variante Deltacron, o come la scienza sa correggersi

Enrico Bucci

L'annuncio di alcuni scienziati ciprioti che avevano parlato di ricombinazione delle due varianti, poi subito corretto, ci dice molto sull'efficacia del metodo scientifico. Che funziona meglio della comunicazione

La storia della presunta variante Deltacron è istruttiva per una serie di motivi, di cui vorrei qui descrivere i principali. Prima ancora di depositare i dati di sequenza nel database internazionale Gisaid, un gruppo di ricercatori ciprioti, e in particolare chi quel gruppo dirige, ha comunicato alle agenzie di stampa internazionali di aver rinvenuto una variante che mostrava caratteristiche ibride fra Omicron e Delta. La notizia, di per sé vaga alle orecchie di uno specialista, è stata comunicata in una forma tale da generare un’onda impressionante di deduzioni non supportate dai fatti, a partire dalla natura stessa del virus isolato, che avrebbe dovuto essere un ricombinante generatosi in pazienti coinfettati da Delta e da Omicron. Ora, fino al  7 gennaio non è stato nemmeno possibile capire bene di cosa stessero parlando i colleghi di Cipro: fino a quel giorno, infatti, “mutazioni tipiche di Omicron in un background di Delta” poteva voler dire qualsiasi cosa, dall’emergere per coincidenza di poche mutazioni aggiuntive di tipo Omicron in un virus Delta (che già condivide parecchie mutazioni con Omicron), fino invece a un’estensiva ibridazione fra i due tipi di virus, a generare un vero e proprio mix fra i due ceppi.

Eppure, nonostante questa vaghezza persino sul significato e sull’estensione della presunta ibridazione, ci si è immediatamente tutti lanciati in fantasie circa la possibilità di avere virus con caratteristiche di patogenicità e di infettività ricavate dai due progenitori, in misura più o meno variabile. Ora, anche ammesso che una ricombinazione fra due virus effettivamente avvenga, il risultato non è la semplice miscela delle caratteristiche dei genitori, esattamente come il figlio di un genitore biondo e di uno bruno non ha necessariamente i capelli di una tonalità intermedia; una sequenza generata per acquisizione di mutazioni fra due varianti può alla fine dare origine a un virus che si comporta in maniera completamente diversa dai progenitori, più simile a uno o più simile all’altro, così come avviene anche in qualunque altro essere vivente che genera figli per ricombinazione dei genomi di due genitori.

Già questo fatto, da solo, pur in presenza della prova certissima di un’avvenuta ricombinazione, avrebbe dovuto suggerire di non commentare le possibili caratteristiche del virus generato; eppure, saltando arditamente lo stadio delle prove circa il suo isolamento, ci si è poi lanciati in un salto ancora più azzardato a immaginarne le caratteristiche biologiche risultanti. Quando poi, finalmente, almeno 24 delle sequenze generate dai ricercatori ciprioti sono state disponibili il 7 gennaio nel database Gisaid, immediatamente la comunità scientifica si è messa al lavoro, dimostrando che la scienza non è fatta dalla somma delle scoperte presunte o reali dei singoli scienziati, ma dalla loro analisi accurata da parte di tutta la comunità.

In un tempo prodigiosamente rapido rispetto a quanto occorreva prima della disponibilità di Internet, è stato chiaro che troppi elementi potevano condurre alla presenza di un errore di sequenziamento, e che tali elementi andavano esclusi, prima di poter fare la straordinaria affermazione dell’avvenuta ricombinazione fra due ceppi – un evento possibile, ma raro. Naturalmente, sempre a richiamare il fatto che la scienza non la fanno i singoli scienziati, i ricercatori di Cipro hanno provato a negare che ci fossero problemi, e a sostenere senza dati di non aver commesso errori; ma meno di 24 ore dopo le loro ultime dichiarazioni, il giorno 11 gennaio le sequenze inizialmente depositate in Gisaid erano state rimosse dal database, in attesa che il gruppo di ricerca cipriota tornasse a esaminare il proprio lavoro, escludendo la presenza di quegli errori che in questo momento sembrano molto probabili.

Abbiamo assistito in diretta alla famosa autocorrezione della scienza, effettuata in un tempo rapidissimo e che non ha equivalente in altri settori dell’attività culturale umana. Pensate a cosa serve per correggere un decreto legge, oppure un’affermazione religiosa che non sta in piedi, o anche semplicemente una transazione finanziaria erronea; paragonate questo con quello che è avvenuto, e potrete convenire con me che, per una volta, abbiamo assistito insieme al peggior modo di comunicare certi fatti, sia da parte di alcuni ricercatori che dei media, e al miglior modo di esaminare e correggere i dati che sia possibile. Certo, se tutto avvenisse senza questi errori marchiani e senza rincorrere le agenzie di stampa prima che il giudizio dei colleghi, sarebbe meglio; ma è rassicurante ed edificante vedere la velocità e l’efficienza con cui, questa volta, un errore è stato scoperto e corretto.

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