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cattivi scienziati

Per sconfiggere la pandemia meglio contare sulle precauzioni che sull'evoluzione del virus

Enrico Bucci

Non possiamo attendere che l'evolzuione del patogeno imbocchi proprio la strada che più vorremmo: non siamo il centro dell'universo

Invece che guardare alle informazioni che si affastellano su come e quanto la variante omicron potrebbe essere pericolosa, assodato che si propaga velocemente, che è immunoevasiva e che una terza dose di vaccino protegge almeno temporaneamente (anche se non bene come con le altre varianti), in attesa di avere qualche dato in più sulle conseguenze cliniche dell’infezione, vorrei provare a spostare l’attenzione del lettore su un paio di fatti generali che riguardano l’evoluzione di SARS-CoV-2 e particolarmente della sintomatologia indotta.

Cominciamo dai sintomi respiratori più lievi: la tosse e gli starnuti sono in grado di proiettare nell’aria ad altissima velocità – anche di 350 km/ora, nel caso degli starnuti – decine di migliaia di goccioline in grado di veicolare il virus. Se questo dovesse essere il principale mezzo di propagazione di SARS-CoV-2, è chiaro che vi sarebbe una pressione selettiva verso l’induzione almeno di questi sintomi e il loro prolungarsi; tuttavia, è già stato notato come il fatto che il virus si propaghi anche attraverso il semplice aerosol esalato da pazienti per altri versi asintomatici, indica una tendenza evolutiva ad aumentare l’abilità di questo tipo di trasmissione, diminuendo il significato adattativo di tosse e starnuti indotti nell’ospite.

Dunque, per quello che oggi sappiamo circa il modo in cui SARS-CoV-2 abbandona un ospite per poterne contagiare altri, non è possibile fare scommesse particolari circa tosse o starnuti, ma è possibile invece isolare una direzione evolutiva favorevole verso una sempre maggiore efficienza della trasmissione mediante aerosol. La direzione favorevole, naturalmente, non è percorribile con certezza, né è possibile sapere fino a quando, perché vi è un limite superiore costituito dalle possibili mutazioni che il virus può avere in grado di avvantaggiarlo in quel verso. Queste, sebbene a noi ignote, sono certamente limitate; inoltre, potrebbero esservi ostacoli insormontabili a progredire oltre un certo punto, dovuti a vincoli fisici delle strutture che dovrebbero mutare per favorire una migliore propagazione via aerosol. Tuttavia, il punto già ora raggiunto e la possibilità che il virus migliori ancora le sue capacità di persistenza mediante aerosol danno una chiara indicazione circa il fatto che gli ambienti chiusi in cui viviamo devono essere attrezzati meglio per favorire ricambio d’aria e filtraggio; e si noti che la tendenza che osserviamo in SARS-CoV-2 è ovviamente attesa anche in futuri patogeni respiratori o in altri patogeni di questo tipo già esistenti. A cominciare dalle aule scolastiche e dagli uffici pubblici, ma anche dai locali delle imprese, sarebbe ora di immaginare una migliore resilienza ai patogeni respiratori presenti e futuri, così come si sta da decenni incentivando una migliore efficienza energetica.

Passiamo ora a considerare i sintomi più severi di SARS-CoV-2. Vi è una diffusa tendenza ad immaginare che esista un vantaggio evolutivo per una variante virale ad alta capacità propagativa, ma bassa patogenicità. Il problema è che questa assunzione non è supportata sinora da alcuna evidenza circa quale sarebbe il vantaggio in termini di trasmissibilità e propagabilità di una siffatta variante nella popolazione umana, fatta di miliardi di individui iperconnessi, per un virus che oltretutto produce più sintomi in individui lontani dall’età riproduttiva e che può infettare molte altre specie, persino quando avesse completamente estinto una data popolazione di una di esse. Ammettiamo pure poi che per accidente evolutivo una tale variante, magari avvantaggiata dalla mera altissima trasmissibilità, emerga davvero: innanzitutto, durante la fase iniziale di espansione, a causa dell’elevatissimo numero di soggetti infettati, causerebbe comunque grossi problemi anche una piccola percentuale di ospedalizzati, ed in secondo luogo questa variante, per portare vantaggio a noi, dovrebbe anche essere in grado di conferire una duratura protezione immune dalle altre, il che non solo rappresenta un’ulteriore scommessa che dovremmo vincere per caso, ma soprattutto implicherebbe uno svantaggio del virus in termini di competizione immunologica con le altre varianti. La verità è che le varianti meno cross-reattive saranno sempre avvantaggiate, in ipotesi potendosi arrivare a varianti diverse codominanti.

Dunque è vero che una possibilità molto fortunata non è preclusa; ma è anche vero, guardando a Ebola, Epatite, Polio ed altri, che questa eventualità è rara e non preclude affatto il successivo riemergere di ceppi virulenti, come potrebbe capitare benissimo per l’influenza in futuro. Questo secondo esempio, come il primo, implica la conclusione cui vorrei arrivare: anche se in ipotesi può accadere, non possiamo contare sull’evoluzione del virus in un senso meno patogenico, ma solo su quella dei nostri rimedi e dei nostri comportamenti. Non potevamo evitare il danno delle mutazioni che ci hanno portato alla pandemia; oggi possiamo almeno inseguire, con ciò che la tecnologia e la conoscenza ci hanno fornito; domani forse riusciremo a mettere in scacco questo patogeno per tempi più lunghi; di certo, comunque, non possiamo sedere ad attendere che l’evoluzione imbocchi proprio quella strada che premierebbe noi arroganti primati, abituati a considerarci il centro dell’universo.

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