il foglio del weekend

La guerra fredda dei vaccini

Stefano Cingolani

Altro che Big Pharma. La tecnologia che ha rivoluzionato la scienza sanitaria adesso ha bisogno di mercato più che mai

Vaccini per tutti vaccini per tutto, un slogan sonante, una grande promessa per un radioso futuro senza più influenza, senza Hiv, senza pandemie; un sogno a occhi aperti. I vaccini sono diventati la nuova frontiera della tecnologia e non solo della salute, senza di essi non si sopravvive alla più grave catastrofe sanitaria dopo la spagnola di un secolo fa, non si lavora e non si guadagna.

 

Fateci tornare a vivere, grida la variegata folla movidista; persino gli chef si attovagliano in piazza, ce l’hanno con il governo, vogliono i sussidi, dovrebbero chiedere vaccini perché in realtà, nonostante la campagna vada avanti più spedita, non ce ne sono per tutti. Allo stato attuale si può coprire solo una minoranza della popolazione mondiale; è colpa del protezionismo sanitario, come ha denunciato Mario Draghi, ma non solo.

 

 

L’Unione europea vuole raggiungere l’autosufficienza produttiva, gli Stati Uniti l’hanno già superata, Vladimir Putin ha lanciato il suo Sputnik che non è decollato, la Cina dove tutto è cominciato non ha ancora fornito un prodotto efficace, l’India, secondo maggior produttore dopo gli Usa, non ne ha abbastanza per fermare la ferale corsa del Covid-19. Le più grandi tra le imprese farmaceutiche sono state surclassate da concorrenti inferiori, mentre si sono affermate aziende minuscole, poco più che laboratori specializzati; un vero terremoto industriale che ha provocato anche un boom anomalo in Borsa, tanto che si parla già di bolla dei vaccini.

 

In mezzo a tanta euforia cominciano a emergere interrogativi che hanno il sapore amaro della realtà. Davvero questi farmaci sono l’avvenire della salute collettiva? Prima della pandemia la loro produzione era poco più di una nicchia per Big Pharma, che traeva da ben altro i suoi profitti, dopo che cosa accadrà? I governi continueranno a stampare moneta per sovvenzionare le imprese e mantenere scorte strategiche come si fa per il petrolio o per le armi, nel caso che scoppi una nuova guerra virale su scala planetaria? E quanto costa?

 

 

Facciamo un passo indietro, e riconosciamo umilmente che tutti, governi, sistemi sanitari, imprese, sono stati presi alla sprovvista. Sì, anche l’industria. Un vaccino in meno di un anno è un record, si dice; verissimo, ma questo è stato possibile solo per chi si era preparato da tempo. E vale soprattutto per la tecnologia vincente, quella basata sul Rna messaggero al quale nessuno credeva, tranne la piccola e bistratta Moderna a Cambridge, nel Massachusetts, la semisconosciuta BioNTech a Magonza, in Germania, e pochi scienziati visionari.

 

La storia sembra uscita da un libro di Joseph Alois Schumpeter, tanto rispecchia la sua teoria della innovazione e della “distruzione creatrice” come molla della crescita economica e del progresso. Fondate l’una nel 2010 e l’altra nel 2008, Moderna e BioNTech hanno lavorato su una tecnologia allora considerata marginale: l’utilizzo del mRNA era di per sé un’idea geniale, ma non funzionava perché il principio attivo veniva distrutto dall’organismo prima di raggiungere l’obiettivo. Era l’ossessione di Katalin Karikò, ricercatrice di origine ungherese: nel 1995, dopo sei anni di sforzi, era totalmente demotivata e non riusciva più nemmeno a trovare fondi per il suo lavoro. Finalmente nel 2015, grazie al contributo di un immunologo, Drew Wasserman, anche lui alla Università della Pennsylvania, arriva la soluzione: racchiudendo l’mRNA in un rivestimento di nanoparticelle lipidiche si riusciva a trasmettere il messaggio e a produrre la sostanza che promuove la produzione di anticorpi. Karikò e Wasserman meritano il Nobel, ma prima che l’invenzione diventasse innovazione è stata necessaria la pandemia.

 

 

Anche Big Pharma è stata colta di sorpresa dal Covid-19. GSK, cioè GlaxoSmithKline (anglo-americana), Merck (tedesca), Sanofi (francese), Novartis e Roche (svizzere), sei tra le maggiori imprese sono rimaste al palo, AstraZeneca (anglo-svedese) e Johnson & Johnson (americana) si sono messe in corsa con approcci più tradizionali e meno efficaci (l’adenovirus). La Merck ha mollato, Glaxo e Sanofi hanno congiunto i loro sforzi nel tentativo di recuperare, ma sono molto indietro. L’olandese CureVac è in lista d’attesa. L’americana Novavax sta incontrando difficoltà produttive per l’approvvigionamento delle materie prime.

 

 

Nel 2020 GSK, Merck e Pfizer dominavano il mercato con i vaccini per l’influenza, la polmonite, il papilloma e lo herper zoster, ma si sono trovate impreparate al Sars-Cov-2. Nel frattempo lo Rna messaggero ha introdotto il nuovo standard tecnologico ed economico. La piattaforma di dati scientifici Airfinity prevede che Pfizer triplicherà i suoi introiti provenienti dai vaccini, Moderna e Novavax supereranno Merck, GSK e Sanofi. Pfizer, all’inizio dell’anno, aveva messo nel budget vendite per 15 miliardi di dollari, invece dovrebbero arrivare a 45 miliardi. Moderna ha già in cassaforte contratti per 12 miliardi di dollari e dovrebbe raggiungere 16 miliardi di ricavi (nel 2019, aveva incassato appena 55 milioni di dollari). AstraZeneca ha chiuso l’ultimo esercizio con un fatturato di circa 27 miliardi e si appresta a migliorarlo in modo significativo. Le quotazioni di mercato riflettono questa bonanza: la sconosciuta Novavax ha fatto un balzo del 6.400 per cento, Moderna dell’850 per cento, BioNTech del 190 per cento. Nel frattempo GSK, Merck e Sanofi hanno perso dal 13 al 30 per cento. I numeri uno di Pfizer (Albert Bourla) e di Moderna (Spethane Bancel) hanno raggiunto un patrimonio personale superiore a cinque miliardi di dollari. Agli azionisti delle società più dinamiche sono arrivati in un anno 26 miliardi di dollari grazie al boom dei titoli. Secondo un rapporto di Oxfarm, nemico numero uno di Big Pharma, con 26 miliardi sarebbe stato possibile immunizzare 1,3 miliardi di persone, di qui la campagna per vaccini gratis a tutti.

 

 

L’industria farmaceutica, insomma, si è lanciata in una frenetica rincorsa, ciò vuol dire che cambierà le sue priorità? Uno studio pubblicato dalla società di consulenza Ernst & Young mostra che fino allo scorso anno i principali gruppi erano concentrati nello sviluppo di farmaci anti-cancro, che avevano assicurato la maggior quota di introiti e profitti per Big Pharma. Secondo Siegfried Bialojan dell’Ey Life Science Center di Mannheim, in Germania, è improbabile che le maggiori imprese cambino i loro programmi a lungo termine per concentrarsi nella lotta al Covid-19. La Ernst & Young suggerisce accordi produttivi, partnership, alleanze come quella tra GSK e Sanofi per ridurre i costi e trovare le sinergie necessarie. La ricerca è particolarmente cara: uno studio del Massachusetts Institute of Technology calcola un miliardo di dollari per ogni vaccino. Chi paga?

 

I finanziamenti statali sono davvero consistenti. Secondo le analisi della Fondazione Kenup, che sostiene l’innovazione nelle industrie sanitarie, il settore pubblico ha stanziato 93 miliardi di dollari nel 2020; 88,3 miliardi (il 95 per cento del totale) sono andati alle aziende produttrici, la maggior parte destinati al pre-acquisto di dosi con largo anticipo. Il 32 per cento proviene dagli Stati Uniti, il 24 per cento dall’Ue, il 13 per cento da Giappone e Corea del sud. Le spese per la ricerca ammontano finora a circa 6 miliardi di euro, calcola il portale The Knowledge Network on Innovation and Access to Medicines del Global Health Centre (Ginevra), il 98,1 per cento proviene da finanziamenti pubblici. Gli Usa e la Germania sono i principali sostenitori con 2 miliardi e 1,5 miliardi di dollari, il Regno Unito è terzo con 500 milioni mentre l’Ue ha investito circa 327 milioni. Moderna e Janssen hanno ricevuto più di 900 milioni di dollari a testa, seguite da Pfizer e BioNtech con 800 milioni. La Universities allied for essential medicines Uk (organizzazione che si batte per favorire l’accesso ai medicinali in tutto il mondo) ha analizzato la provenienza dei fondi per il vaccino di Oxford e stima che il 97 per cento delle risorse finanziarie per AstraZeneca arriva dal governo britannico, dalla Commissione europea e da alcune organizzazioni benefiche. Senza la mano pubblica, dunque, la scienza dei vaccini non avrebbe mai raggiunto i risultati che sono sotto gli occhi di tutti, è quel che sottolinea Mario Draghi quando invita le imprese a uno sforzo di solidarietà collettiva.

 

La tecnologia basata sull’Rna messaggero potrà essere utilizzata su larga scala, anche per la lotta a certi tipi di cancro? Moderna ha promesso nuovi programmi contro il virus Nipah, l’Hiv, e l’influenza, si andranno ad aggiungere a oltre 20 attività. Anche Pfizer sta lavorando su altri vaccini, incluso uno contro l’influenza stagionale, afferma Phil Dormitzer, direttore scientifico dell’azienda e capo della ricerca sui farmaci antivirali. Decine di produttori e laboratori in tutto il mondo cercano soluzioni simili. Si possono usare sempre gli stessi ingredienti di base aggiungendo solo un componente unico – una sequenza mRNA – per produrre la proteina necessaria. Nei vaccini anti Covid-19 di Moderna e Pfizer-BioNTech quell’ingrediente è la sequenza che identifica la proteina spike del coronavirus, grazie alla quale il virus penetra nelle cellule umane. In teoria può essere adattata per produrre un vaccino contro l’Hiv, ha dichiarato Weissman al National Geographic. Il suo laboratorio sta lavorando su circa 30 farmaci, incluso un vaccino antinfluenzale universale e uno per tutti i coronavirus, dalla Sars (sindrome respiratoria acuta grave) alla Mers (sindrome respiratoria mediorientale). La difficoltà è trovare la proteina giusta, ma il meccanismo è sempre lo stesso “per questo viene chiamato metodo passe-partout”. La tecnologia mRNA fornisce agli scienziati una serie di possibilità, dallo “scoprire la sequenza di un virus ad avere una fiala di vaccino pronta nell’arco di poche settimane”, afferma Anna Durbin, professoressa di salute internazionale presso la Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health nel Maryland. Moderna, per esempio, ha creato il suo vaccino anti Covid-19 in due giorni dopo la scoperta della sequenza. 

 

Non tutto fila liscio. Il vaccino di Pfizer, come sappiamo, deve essere conservato a una temperatura di meno 70 gradi centigradi, il che richiede attrezzature delle quali non tutti i centri sanitari sono dotati. E’ per via delle nanoparticelle lipidiche usate per somministrare l’mRNA, afferma Weissman: sono come il grasso che, se viene conservato al freddo mantiene la propria forma, ma se viene riscaldato o lasciato a temperatura ambiente si liquefa. Alcuni stanno tentando con la liofilizzazione, ma bisognerà aspettare un anno per sapere se funziona. Inoltre gli scienziati non sanno ancora quanto durerà la risposta immunitaria stimolata dai vaccini mRNA. Ci sono poi gli effetti collaterali. Dai dolori passeggeri agli choc anafilattici (due su un  milione per Moderna e 11 per Pfizer, un rischio accettabile, ma comunque superiore ad altri vaccini) sino ai (rari) casi di trombosi. Dormitzer si chiede se la tecnologia mRNA sarà effettivamente risolutiva come molti credono: “Alcune malattie sono molto sensibili all’immunizzazione, ma per l’influenza è più difficile. E per altre ancora, compresi l’Hiv e l’epatite C, non ci sono trattamenti preventivi efficaci”.

 

 

Tutti si sono sentiti minacciati, tutti i governi hanno speso, ma non tutti hanno avuto successo. La sconfitta più clamorosa riguarda la Russia, la Cina, il Brasile, l’India, paesi autoritari o dove governano partiti e leader nazionalisti e sovranisti. Sulla Cina grava l’ombra del sospetto e comunque Xi Jinping ha perso la corsa al vaccino che doveva servire al suo riscatto. La Russia di Putin s’è chiusa a riccio. Bolsonaro il negazionista è costato lacrime, sangue e morte ai brasiliani. Narendra Modi ha scatenato i peggiori istinti di un induismo reazionario e integralista: i bagni rituali nel Gange sono stati pagati cari.


E l’Italia? Facciamo anche noi i vaccini, si è detto, ma siamo pronti? Il governo, facendo balenare anche incentivi, ha riunito l’industria farmaceutica che ha preso da tempo un’altra strada. Prima della pandemia l’Italia produceva più medicinali di ogni altro paese della Ue, ma non c’è nessuna Sanofi, nessuna Bayern, nessuna AstraZeneca. La più grande impresa, la Menarini, fattura 3,5 miliardi di euro l’anno, dieci volte meno della britannica Glaxo. Insomma, altro che Big Pharma, noi abbiamo Small Pharma. I piccoli laboratori non diventeranno mai grandi se non hanno dietro un sistema che li sostenga. 


ReiThera l’azienda di Castel Romano (quasi 20 milioni di euro i ricavi del 2019) controllata dalla finanziaria svizzera Keires, sta lavorando su un vaccino basato su un adenovirus di gorilla, ma  l’ospedale Spallanzani si è tirato indietro e i fondi scarseggiano: il governo doveva inviare 81 milioni di euro attraverso Invitalia, mentre 5 milioni venivano dalla regione Lazio e 3 dal Cnr. Può darsi che le autorità sanitarie vogliano cambiare cavallo e puntare sui vaccini mRNA, è tutto in divenire. La sperimentazione però non si ferma, non aspetta, deve andare sempre avanti anche se non è ancora chiaro il modello economico di riferimento: chi la sosterrà, i privati, i governi, una combinazione tra gli une e gli altri; e in che modo? La Guerra Fredda fu vinta dal complesso militar-industriale americano, adesso tocca al complesso industrial-sanitario che però non può funzionare se resta chiuso in un solo paese, nemmeno nel più grande e potente.

 

Di più su questi argomenti: