(Ansa)

Tutti i limiti nello studio dei vaccini

Silvio Garattini*

Placebo, età di chi si sottopone alla sperimentazione e altri problemi apparentemente teorici

In un tempo record, grazie a una serie di eventi favorevoli sono stati sviluppati e resi disponibili almeno quattro vaccini che hanno fatto parte di una serie di 180 candidati che, tuttora oggetto di studio, partendo da test in vitro, attraverso ricerche  in varie specie animali, devono passare tre fasi di sperimentazione nell’uomo per poter ottenere un’approvazione temporanea da parte delle Autorità regolatorie. Gli studi di fase 3, oltre al gruppo che avendo ricevuto il vaccino ha ottenuto un beneficio, hanno anche un gruppo di soggetti che ha ricevuto un placebo, cioè un trattamento inefficace. Nessuno dei partecipanti allo studio doveva essere a conoscenza di chi riceveva che cosa, come pure chi somministra il trattamento ne era a conoscenza perché un buono studio deve mantenere il cosiddetto doppio cieco. 

 

Alla fine dello studio, ottenuta l’approvazione si può decidere di continuare la fase 3  per ottenere altre informazioni. Ad esempio, si possono in questo modo vedere se si manifestano tossicità a distanza di mesi, oppure si può seguire l’evolversi dei vari tipi di immunità nel tempo. Tuttavia non si può dimenticare che il gruppo dei partecipanti che è stato trattato con il placebo continua a essere esposto al rischio di contagio e seppure con minori probabilità anche al rischio di malattia e di mortalità. Si pone perciò la necessità di arrestare lo studio e quindi di interrompere il doppio cieco perché chi ha assunto il placebo ha il diritto ad aspirare a una vaccinazione che dovrebbe avere caratteristiche di priorità avendo messo a disposizione la sua persona a un rischio essenziale per ottenere dei risultati attendibili.

 

All’inizio dello studio non si conosceva se il vaccino sarebbe stato efficace ma alla fine i risultati sono disponibili. Lo studio può perciò continuare ma a due condizioni: i trattati con placebo devono essere vaccinati a meno che non accettino con un consenso informato di continuare a ricevere il placebo per spirito di servizio pubblico, che non può essere deciso da chi conduce la ricerca.


Esistono altri problemi apparentemente teorici. Supponiamo che un vaccino sia stato studiato prevalentemente in soggetti di età inferiore ai 65 anni. E’ lecito utilizzare il placebo? Evidentemente no, perché esistono altri vaccini che hanno già dimostrato di proteggere le persone anziane con più di 65 anni. Il nuovo studio non potrà perciò utilizzare il placebo ma dovrà utilizzare un vaccino che ha già dimostrato efficacia. Ciò permette di ottenere un duplice vantaggio: da un lato evitare di esporre persone a un rischio non necessario e d’altro lato raccogliere risultati comparativi, cioè sapere alla fine se i due vaccini sono analoghi oppure se uno è meglio dell’altro.

 

Il problema si pone con altre caratteristiche per gli studi che sono iniziati dopo l’approvazione di uno o più vaccini. Anche in questo caso si pone il problema se sia lecito utilizzare un placebo. In alcuni casi è possibile. Ad esempio nessun vaccino approvato è stato studiato in soggetti giovani  con età inferiore ai 16 anni. E’ chiaro che in questo studio non solo è lecito, ma è necessario utilizzare il placebo, tanto più che nei giovani i casi di malattia sintomatica sono relativamente pochi e quindi senza placebo occorrerebbe probabilmente più tempo e più partecipanti. Infine esiste il caso in cui il nuovo vaccino ripete sostanzialmente l’iter della fase 3 di altri vaccini già approvati. In questo caso sarebbe difficile inserire il placebo anche in base alla dichiarazione etica di Helsinky che prescrive un controllo con il miglior farmaco disponibile quando il nuovo farmaco (o vaccino) abbia la stessa indicazione. E’ chiaro che ciò rende più complicato lo studio per la difficoltà di ottenere il vaccino di controllo che tuttavia dovrebbe essere obbligatorio mettere a disposizione. Infatti  continuare a utilizzare il placebo non permetterebbe di stabilire se un vaccino è meglio o peggio di un altro.

 

Uno studio comparativo può non far piacere all’industria che lo sviluppa, ma è importante per la comunità, che ha il diritto di sapere il valore di prodotti che hanno la stessa finalità.


Esiste una possibile eccezione a questa linea di ragionamento. Supponiamo che in un paese a basso reddito esista la possibilità di studiare un vaccino sviluppato localmente. Considerando che i vaccini disponibili sono limitati nella disponibilità e che il costo relativo possa essere insostenibile, si potrebbe discutere la possibilità di utilizzare un placebo. Infatti poter disporre di un placebo attraverso uno studio controllato è meglio che non averlo per difficoltà economiche. In ogni caso si dovrebbero fare adeguate verifiche.

 

*Silvio Garattini è presidente dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs