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cattivi scienziati

Ragioni per un moderato ottimismo sulla capacità di limitare le mutazioni del virus

Enrico Bucci

Guardando ai dati del Sudafrica non c'è alcuna evidenza che la nuova variante abbia causato effetti peggiori delle preesistenti

La mutazione in posizione 484 della proteina spike è quella che, in questo momento, preoccupa maggiormente i clinici e gli epidemiologi di tutto il mondo. E’ quella che è stata associata alla capacità del virus di evadere la risposta immune, inclusa quella indotta dai vaccini, nel senso che nei sieri dei soggetti precedentemente infettati o vaccinati si trovano meno anticorpi neutralizzanti per il virus mutato, come verificato per i vaccini di Pfizer e di Moderna. Il punto però è: quanto conta il fatto che si producano meno anticorpi neutralizzanti ai fini della capacità dei virus mutanti di indurre conseguenze cliniche serie e di rendere i vaccini inefficaci? 

 

Per rispondere, possiamo guardare ai dati del Sudafrica, perché in quel paese il virus che porta la mutazione E484K costituisce a quanto si stima il 95 per cento del totale circolante. Innanzitutto, guardiamo alle conseguenze dell’infezione sui pazienti: in Sudafrica la prima ondata ha avuto un massimo a luglio, quando si è registrato il massimo della deviazione fra la mortalità osservata e quella attesa – una deviazione che è iniziata a maggio e si è conclusa a settembre. La seconda ondata, che ha raggiunto un picco di circa un terzo più alto nell’eccesso di mortalità, si è però pure presentata in un periodo di tempo più ristretto, iniziando a fine novembre e terminando nella prima metà di febbraio. La seconda ondata, quella in cui la variante ha circolato, è cioè cresciuta di più e più rapidamente, ma è anche terminata più velocemente. Con questi dati, possiamo concludere che il virus mutante non ha generato un’epidemia di maggior durata delle varietà che l’hanno preceduto, probabilmente perché il contenimento messo in atto e le misure di distanziamento hanno funzionato. Inoltre, se osserviamo i dati per provincia, notiamo che in molti casi la seconda ondata non è affatto stata più intensa della prima e ha prodotto grosso modo lo stesso eccesso di mortalità; l’effetto a livello nazionale è dovuto solo ad alcune province, le quali non erano state particolarmente colpite durante la prima ondata. Nel complesso, quindi, ne ricaviamo che questa mutazione, pur essendo ovviamente un prodotto della selezione immune, non ha conferito un vantaggio epidemiologico al virus tale da non poter essere contenuta o da causare effetti necessariamente peggiori delle varianti preesistenti.

 

E cosa sappiamo dei vaccini? In Sudafrica, durante la fase 3 del vaccino di Johnson&Johnson, si sono raccolti dati su 6.576 individui. Se si guarda alla protezione dalla malattia moderata o severa, a dire dell’azienda il livello di protezione si è attestato al 57 per cento; ma se si guarda esclusivamente ai casi severi, sempre secondo l’azienda, ne sono stati prevenuti tra l’85 per cento e il 90 per cento. Aspettiamo quindi che questi dati siano pubblicati e rivedibili; tuttavia, vi è spazio per un moderato ottimismo circa le varianti già in circolazione che portano la mutazione immunoevasiva più importante sin qui identificata.

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