Una fiala del vaccino russo Sputnik (foto LaPresse)

Cattivi scienziati

L'ombra del nazionalismo vaccinale sugli studi di Lancet

Enrico Bucci

Sviste notevoli sullo Sputnik V, bias clamorosi nel preprint su AstraZeneca. Così si fomentano i No vax

La rivista britannica The Lancet ha appena pubblicato un articolo che riporta i risultati ad interim dello studio di fase III del vaccino Sputnik V sviluppato in Russia, e un preprint, non ancora revisionato, che riporta una rianalisi post-hoc dei dati della pasticciata fase III del vaccino Oxford/Astra Zeneca.

 

Cominciamo dal documento sul vaccino “Sputnik V”. In questo caso, si tratta di un articolo revisionato: ma con quanta accuratezza? Leggiamo, per esempio, nella sezione “findings”, che sono stati arruolati nello studio 21.977 adulti; eppure, una decina di righe dopo, si legge nello stesso documento che sono stati arruolati per lo studio 21.862 partecipanti. Siamo sicuri che il lavoro sia stato rivisto con attenzione?

 

A complicare le cose, nello studio pubblicato si citano i risultati ad interim pubblicati nel 2020; ebbene, da questi risultati intermedi risulta che i calcoli di efficacia erano stati fatti per ultimo considerando 17.032 su oltre 26.000 vaccinati con una doppia dose. Eppure, nello studio sono 14.964: dove sono finite le altre migliaia? Magari i volontari che mancano nello studio sono quelli che sono stati trattati con una diversa formulazione di vaccino: ma allora perché sono considerati insieme agli altri nei risultati ad interim, e non invece nella pubblicazione finale?

 

Per quel che riguarda il gruppo dei vaccinati, è scritto che gli infetti asintomatici non sono stati considerati ai fini dell’efficacia. Tuttavia, in un sottogruppo trattato con placebo, si determina che il 15% dei soggetti è risultato positivo ad un test per gli anticorpi, pur risultando negativo alla PCR. Questo significa che si tratta di soggetti che hanno avuto infezione asintomatica, nel gruppo di controllo. Come sono stati considerati questi soggetti? Dovrebbero essere stati esclusi, così come gli asintomatici nel gruppo dei vaccinati; ma questa informazione non è fornita, aprendo la strada alla possibilità che le infezioni nel gruppo di controllo siano sovrastimate del 15%.

 

I soggetti deceduti durante lo studio risultano essere 4 (3 tra i vaccinati e uno fra i non vaccinati, ma il gruppo dei vaccinati è tre volte più grande dell’altro). Sono però fornite informazioni dettagliate solo circa due soggetti che sono morti dopo aver contratto il COVID-19; ma cosa dire degli altri due morti, non affetti da COVID-19? Come sono deceduti?

 

 

Purtroppo, queste informazioni non saranno fornite, e qui arriviamo all’ultimo, incredibile problema, la cui responsabilità è completamente a carico della rivista. Le richieste di accesso ai dati originali saranno esaudite dopo scrutinio e per gentile concessione da parte dello sponsor, del dipartimento per la sicurezza, dei ricercatori e dello staff. Avete capito bene: anche un dipartimento per la sicurezza si occuperà di valutare se un dato ricercatore, che ha dei dubbi, può o meno aver accesso ai dati. Del resto, alle domande che arrivavano, così ha risposto in conferenza stampa Dmitriev, il finanziatore del vaccino: “Abbiamo notato che i critici recentemente tacciono perché non hanno trovato niente di cui discutere”. I “critici silenti”, come il giornalista della BBC Nikolay Voronin, hanno quindi elencato sui social alcune delle domande poste, che evidentemente non si vogliono ascoltare.

 

Al netto di questi non trascurabili problemi e dei pasticci con i numeri che ho elencato (che non sono gli unici), possiamo concludere probabilmente che il vaccino funziona, come ci si attendeva, anche se questo è l’unico fra i vaccini basati su adenovirus che per il momento va conservato a -18 gradi.

 

Ciò che invece fa rabbrividire, molto peggio della pubblicazione sul vaccino russo, è i preprint che sempre Lancet ha reso disponibile per quanto riguarda il vaccino di Oxford/Astra Zeneca, le cui conclusioni – senza aspettare alcuna revisione da parte di altri scienziati – sono state baldanzosamente annunciate dalla stessa università e dai vari ministri britannici.

 

 

In breve, si sostengono le seguenti tre tesi:

  • allungare il tempo fra prima dose e richiamo migliora l'efficacia;
  • una sola dose ha notevole efficacia;
  • il vaccino ha efficacia pure sulla trasmissibilità del virus.

Tuttavia, gli autori ci mettono in guardia: “These are therefore post-hoc exploratory analyses only with potential for multiple sources of bias, and were not pre-specified.”

 

Difatti, il lavoro è affetto da alcuni bias clamorosi, quali per esempio la grande differenza tra il gruppo di soggetti che ha ricevuto una sola dose e quello che ha ricevuto due dosi: i primi sono più giovani, più sani e globalmente meno a rischio di malattia, per cui non è difficile immaginare come mai una sola dose risulti globalmente già avere un’alta efficacia – persino superiore a due dosi per intervalli di tempo opportuni!

Ma c’è di peggio: tutte le stime di efficacia sono calcolate al variare del tempo fra la prima dose e la seconda, per mostrare che all’aumentare di questo tempo l’efficacia migliora. Peccato che, come dichiarato dagli autori: “Point estimates of efficacy were lower with shorter dosing intervals, though it should be noted that there is some uncertainty as confidence intervals overlap.”

 

E qui rimandiamo il lettore alle figure del preprint, per verificare con i suoi occhi se qualunque delle variazioni misurate in funzione del tempo fra le due dosi abbia significato statistico solido. Vi sarebbe molto altro da dire, e la comunità scientifica mondiale sta lavorando alacremente, ma a questo punto una domanda generale si impone. In nome di cosa una rivista come Lancet si piega a testare post-hoc, in questo modo, ipotesi che servono a supportare le politiche del governo britannico, che ha cambiato la somministrazione del vaccino senza evidenze scientifiche?

 

Non sarà che la britannica rivista, con il britannicissimo gruppo di Oxford, intende portare acqua al mulino del nuovo isolazionismo britannico anche in campo scientifico, continuando nel solco del nazionalismo vaccinale? E non sarà questa la ragione di una sorta di alleanza scientifica con la Russia di Putin, tale da portare sulla nazionale rivista Lancet lavori zoppicanti (mi riferisco anche ai precedenti) sul vaccino Sputnik V, di cui si auspica la combinazione con quello di Astra Zeneca?

 

Quale che ne sia la ragione, la strada è certamente sbagliata, ed è assolutamente necessario che Lancet smetta di dare supporto alle argomentazioni dei novax, piegando il processo di revisione scientifica ad ogni agenda diversa da quella scientifica.

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