(foto LaPresse)

cattivi scienziati

Dire la verità sul virus

Enrico Bucci

Essere coscienti che stiamo per schiantarci contro un muro è meglio che illuderci che quel muro non esista

Mi scrive sui social un utente, peraltro molto cortese e ben disposto: “Potrebbe spiegarmi il motivo di ammonizione nei confronti delle persone che considerano con entusiasmo questo rallentamento che lei correttamente e metodologicamente interpreta? Non ritiene che ogni tanto la ‘gente’ possa aver bisogno (anche se si tratta di un’illusione ottica o di una situazione contingente) dopo tutta la tensione e la preoccupazione di credere (anche se per pochi giorni) in qualcosa che li tranquillizzi un pochino? L’importante è che chi deve decidere interpreti correttamente quello che sta succedendo… Se sono in grado di farlo. Poi se il popolo si vuole illudere per qualche giorno vivaddio non succede certo la fine del mondo”. La domanda è estremamente interessante, ed è evidente che è una questione tanto più importante quanto più sono gli stessi ricercatori impegnati sul Covid-19 ad assumere un atteggiamento che privilegia una comunicazione volta a rincuorare, rassicurare, aiutare psicologicamente il pubblico che li segue. Addirittura, nel caso sollevato da chi mi ha scritto, nel lasciare pure credere cose false o distorte al pubblico, preservandolo in un certo senso, almeno per un certo tempo, dall’acquisire una visione scientifica del mondo, se questa non induce sollievo dell’animo.

 

La risposta che posso dare al mio interlocutore, ma potrei dire a una vasta schiera di persone convinte che nel momento attuale il nemico sia anche lo sconforto che la situazione attuale può indurre, è articolabile in alcuni punti. Il primo, il più importante, è il dovere della verità, così come appare al ricercatore al meglio della propria conoscenza, dei dati disponibili e dei propri mezzi di analisi. Questo tipo di verità – che consiste non certo nell’asserzione certa e dogmatica circa qualche aspetto del mondo, ma nella verità su quanto si riesce a trovare con il meglio delle informazioni e dei metodi di cui disponiamo – è anzi l’unica guida etica sicura per lo scienziato, e con essa non è possibile scendere a patti. Il secondo punto consiste nella convinzione che l’illusione può certo essere piacevole, ma è di sicuro pericolosa: in particolare perché il distacco dalla migliore interpretazione dei fatti porta poi infallibilmente a scontrarsi con essi, in una maniera che non è solo dolorosa proprio per il brusco cessare dell’illusione stessa, ma anche perché questi fatti, quando si tratti di una pandemia, possono essere pericolosi e dannosi. Meglio essere consapevoli che ci si sta andando a scontrare contro un muro, piuttosto che farne l’esperienza dopo essersi illusi che il muro non esiste, oppure che è più piccolo o fragile del dovuto e così via.

 

Il terzo punto è che quando si ha una visione più lucida e aderente ai dati disponibili di cosa stia succedendo, è possibile raggiungere una tranquillità e una pace interiore che difficilmente anche la migliore delle bugie può garantire; è questa una sensazione che si potrebbe descrivere come un miglior accordo tra il proprio modello mentale del mondo intorno a noi e ciò che va effettivamente accadendo, ed è la sensazione di intima soddisfazione che deriva dalla conoscenza non superficiale delle cose. Il quarto e ultimo punto riguarda l’idea che i ricercatori debbano separare il pubblico che li ascolta tra chi ci governa e chi è governato, privilegiando la comunicazione più aderente alla verità scientifica nel caso dei primi e una comunicazione più ottimistica e rassicurante verso i secondi. Questa visione è contraria alla democrazia, la quale non può che fondarsi su una conoscenza quanto più diffusa possibile tra i cittadini; è pericoloso immaginare di illuderli, comunicando la verità senza filtri ai soli governanti, ed è contrario allo spirito di apertura, universalità e trasparenza che sono gli ideali dell’impresa scientifica. Il diritto alla scienza di ogni essere umano è traducibile come il diritto alla conoscenza onesta e il più possibile veritiera di quanto l’analisi scientifica è in grado di produrre; e questo diritto, come ampiamente dimostrato altrove, per la comunità scientifica si traduce nel dovere di comunicare ciò che appare più probabilmente vero, al meglio delle conoscenze disponibili e applicando il metodo scientifico.

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