Cattivi scienziati

Per battere il Covid c'è solo la scienza, altro che scorciatoie o ricette facili

Enrico Bucci

Gli effetti sulla mortalità dei corticosteroidi e del Remdesivir. Gli sforzi per evitare la saturazione delle terapie intensive. Serve il passo lento e misurato del ragionamento e degli esperimenti

Molto spesso, di fronte alla domanda circa la possibilità che lo sviluppo futuro dell’epidemia di Sars-CoV-2 in Italia possa portare di nuovo a situazioni drammatiche come quelle dell’inizio del 2020, clinici e ricercatori rispondono che, a causa della migliorata gestione dei malati, questo probabilmente non capiterà più. Cosa intendono di preciso? In parte, la risposta sta in alcuni trattamenti della malattia che sembrano migliorare il decorso. Fra quei pochissimi ritrovati, è stato recentemente riesaminato il ruolo della somministrazione di corticosteroidi nei malati gravi.

 

Una meta-analisi di 7 studi clinici, condotta randomizzando e analizzando in cieco i dati ottenuti in quegli studi, ha dimostrato su oltre 1.700 persone provenienti da 12 diversi paesi il beneficio dei corticosteroidi in termini di diminuzione della probabilità di morte. A fronte del 40 per cento circa di probabilità di morire di questi malati gravi, quelli trattati con corticosteroidi sono morti “solo” nel 32 per cento circa dei casi nei 28 giorni di osservazione dello studio, considerando una serie di correzioni per variabili confondenti, età e sesso; sembra una diminuzione modesta, ma significa il 20 per cento di morti in meno.

 

Una meta-analisi di 4 studi clinici randomizzati su un totale di 2.290 pazienti, inoltre, ha mostrato i benefici dell’unico antivirale che sinora sembra efficace, il Remdesivir; si è trovato in questo caso un effetto sul decorso clinico (più rapido con il farmaco). Questo dato è stato confermato ed esteso da una seconda meta-analisi indipendente e sono in corso studi che sembrano dimostrare che, anticipando la somministrazione del farmaco, si abbiano effetti anche sulla mortalità.

 

Inoltre, è noto da tempo che la mortalità per Sars-CoV-2 è enormemente accresciuta dalla saturazione delle terapie intensive, come già ad aprile è stato stabilito osservando quanto successo in Cina, fino ad arrivare all’ultimo preprint di ricercatori svedesi, che sostanzialmente osservano la stessa cosa nel proprio paese. Per questo, ogni politica che porta alla diminuzione del carico di nuovi pazienti giornalieri – non necessariamente al totale – di per sé riduce la mortalità e l’impatto del virus sulla salute pubblica.

 

Vi sono ulteriori elementi che la comunità scientifica ha cominciato ad associare a un miglior trattamento e a un miglior esito della malattia; in questa sede, non ne parlerò ancora, perché non esistono meta-analisi robuste, così come non parlerò di altre meta-analisi che invece hanno dimostrato di avere un’efficacia quantomeno dubbia. Ciò che mi interessa mostrare qui è la velocità – o per meglio dire la lentezza, rispetto alle aspettative – con cui la conoscenza scientifica e clinica si consolida: non esistono ricette facili, non vi sono proiettili magici, e non è dando un bel nome a un progetto di ricerca o prendendo scorciatoie che risolveremo il problema della pandemia. C’è bisogno del passo lento e misurato del ragionamento razionale e degli esperimenti controllati su larga scala, non delle grida del venditore o del santone di turno.

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