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Tutti a scuola

Enrico Bucci

È possibile far tornare in classe gli studenti a patto di agire subito sul fronte della sicurezza. Prima che sia tardi

La riapertura delle scuole si avvicina, e sta sorgendo una vasta polemica sul rischio che gli insegnanti corrono, in presenza di una pandemia non ancora domata. Ieri ci siamo occupati del ruolo delle scuole nella trasmissione dell’epidemia, alla luce del fatto che, come ho detto più volte, non possiamo permetterci la loro chiusura; oggi vale la pena di richiamare alcune misure indispensabili, che devono essere garantite e che, nei mesi e mesi trascorsi dalla chiusura delle scuole, sembrano ancora cogliere di sorpresa la classe dirigente di questo paese.

  

Si è ormai raggiunto il consenso sul fatto che, nell’immediato, bisogna procedere come segue. Ridurre la numerosità delle classi; distanziare fisicamente gli studenti; areare spesso le aule; indossare le mascherine, che dovrebbero essere obbligatorie almeno dai dieci anni in su, possibilmente fornendo protezione maggiore ai professori con mascherine più protettive; aumentare la distanza fra le cattedre e i banchi; trattare con prodotti disinfettanti le superfici il più frequentemente possibile e favorire l’igiene delle mani; prestare particolare attenzione alla disinfezione e all’areazione dei bagni, separando quelli dei professori dagli altri; didattica a distanza per le età maggiori, ove essa sembra funzionare meglio, secondo la letteratura – il che, naturalmente, presuppone anche investimenti per rendere omogenei e stabili sia l’infrastruttura sia l’offerta formativa; test, test e ancora test: la diagnostica, utilizzando pooling e metodi nuovi come i test salivari, deve essere fortemente rafforzata e deve essere frequente, per isolare sul nascere i focolai. Inoltre, vista la situazione disastrosa dell’edilizia scolastica, soprattutto ma non solo nel Meridione, è assolutamente prioritario provvedere al risanamento degli edifici, a partire dall’areazione con filtri abbattitori e dal condizionamento dei locali e al rinnovo dei bagni, al potenziamento dei trasporti scolastici, fino all’aumento delle aule per poter diminuire la numerosità delle classi (a fronte delle promesse di assunzioni maggiori cui sembra si darà seguito) e all’introduzione della sorveglianza sanitaria direttamente nelle scuole.

 

Queste cose, per la maggior parte, sono note da mesi: come mai le scopriamo solo dopo le vacanze, in prossimità della riapertura? E perché invece di preoccuparci di rime buccali, banchi con le rotelle e ridefinizione allargata del gruppo di congiunti, non puntiamo l’attenzione su questi punti? Colpevolizzare gli insegnanti è fin troppo facile, soprattutto considerando che anche fra di essi vi sono degli irresponsabili, come chi rifiuta i test diagnostici, dei nullafacenti che hanno interesse a restare pagati a casa e degli ignoranti che non comprendono la differenza fra rischio collettivo e rischio personale. Tuttavia, a fronte del giusto risentimento nei confronti di insegnanti che dichiarano di non voler effettuare i test sierologici, bisognerebbe ricordare che chi ci ha condotto a questo punto non sono gli insegnanti, ma una classe dirigente la quale ha semplicemente eliminato da tempo dalla propria agenda il risanamento e il finanziamento della scuola pubblica, e quindi non ha certo cambiato rotta in occasione della pandemia. Tenere chiuse le scuole è una scelta impraticabile e profondamente dannosa, anche in termini di salute pubblica; ma far pagare ad alunni, famiglie e insegnanti l’inutile costo dell’inettitudine e dell’inane incompetenza di chi dirige l’Italia, che sia all’opposizione o al governo, è assolutamente ingiusto e inaccettabile, considerati gli svariati mesi trascorsi a non occuparsi del problema e considerato anche il fatto che una ripresa in grande stile dell’epidemia ci costringerebbe a richiuderle comunque.

  

Aprire le scuole, sì; ma senza sconti per le misure di sicurezza da attuare subito e pretendendo gli investimenti necessari nel medio periodo, a mitigare il rischio di questa e future epidemie.

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