Un giovane fa il test di Schick, accompagnato dalla madre e dal fratello (1915). Il test misura l'immunità alla difterite (foto National cancer institute)

Scienza e comunicazione

Enrico Bucci

Prima di essere trasmessa, l’informazione va codificata per il pubblico. Altrimenti sono guai

Oggi non scrivo di coronavirus, ma di un punto più generale, che ha a che fare con il modo in cui il pubblico riceve informazioni dalla comunità scientifica.

 

Si tratta di un classico problema di trasmissione tra una sorgente informativa (i ricercatori, gli accademici, i clinici) e un ricettore (il pubblico, la politica ed in generale la società).

 

Il primo punto riguarda la sorgente, che deve trasmettere informazioni in un codice non ambiguo e chiaramente intellegibile al ricettore. La comunità scientifica, cioè, deve adottare un linguaggio e dei mezzi di comunicazione che non si prestino facilmente a fraintendimenti; il che implica limitare quanto più possibile il linguaggio personale e il piano emotivo, ma soprattutto adoperare un sistema molto chiaro di distinzione fra opinioni o attese (personali, di gruppo, dell’intera comunità scientifica) e dati a supporto di quelle opinioni. Il singolo scienziato deve sparire di fronte ai dati, ed invece rivendicare come personale e propria – cioè non universale – l’interpretazione dei dati o le ipotesi; e deve smettere le vesti dell’illuminatore di masse, del suggeritore di complotti, del disvelatore di verità, per indossare invece l’abito dell’analista e il modo dell’investigatore che usa un metodo, a esso si affida ed oltre non va.

 

Il secondo punto riguarda il mezzo, o i media: i quali devono essere in grado di tradurre, cioè possedere le capacità di capire e le risorse – anche economiche – necessarie per l’opera di intermediazione linguistica e decodifica necessaria.

 

Alcuni – pochi – ricercatori non ne hanno bisogno; tutti i giornali, tutte le televisioni e perfino tutti i siti social, invece, hanno strettamente bisogno di chi sia in grado di cogliere quale parte del messaggio di uno scienziato sia chiaro solo ai colleghi, quale si appoggi su una semplificazione ambigua, e quale sia semplicemente irrilevante. L’informazione degli scienziati, cioè, prima di essere trasmessa va appropriatamente codificata per il pubblico – non travisata, ma trasformata in modo che sia non solo chiara, ma pure non fuorviante (perché il piano comunicativo del pubblico non è lo stesso di quello degli scienziati).
Il terzo punto riguarda i ricettori, cioè pubblico, politica e società. Se il ricevitore di un segnale è rotto, nessuna trasmissione, per quanto ben fatta, raggiungerà il suo scopo: quindi tutti gli italiani devono fare lo sforzo di studiare quel minimo di metodo e linguaggio scientifici, che magari hanno accantonato o frainteso (anche per la qualità bassa dell’insegnamento scientifico scolastico). Volete ragionare di certi argomenti? Sappiate che il vostro bagaglio cognitivo è insufficiente. Cominciate da oggi a studiare il metodo scientifico, le fallacie logiche del discorso razionale, un minimo (davvero un minimo) di scienza del dato e ragionamento quantitativo. Non vi accontentate delle suggestioni e della sensazione di percepire la scienza: siate curiosi e puntate sul metodo, e fate la fatica di scoprire la bellezza e la potenza del ragionamento di cui siete capaci.
Sorgente, mezzo e ricevente: solo agendo su tutti e tre gli elementi la comunicazione della scienza potrà essere utile alla società.

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