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Viva l'homo oeconomicus

Redazione

Per salvare le specie a rischio servono meno allarmismo e più sviluppo

Oltre un milione di specie animali e vegetali è a rischio di estinzione: che fare? Il rapporto dell’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services, l’organismo delle Nazioni Unite che studia la biodiversità, indica il problema, ma non identifica le soluzioni – né può farlo. Anche al netto di qualche possibile eccesso allarmistico nelle scelte di comunicazione, infatti, la situazione appare critica.

 

La pressione demografica, l’antropizzazione del pianeta, le trasformazioni nell’uso del suolo e i cambiamenti climatici sono tutti fattori che, in modi differenti, minacciano le infinite varietà che la vita ha assunto sulla Terra. La giusta risposta deve muovere anzitutto dalla corretta comprensione del fenomeno. L’estinzione è un’altra faccia dell’evoluzione: è lo strumento attraverso cui la vita vince sull’ambiente selezionando le caratteristiche più adeguate a garantire la sopravvivenza, ed espellendo chi non le possiede. Questo non significa che gli umani possano o debbano accelerare questo processo, anzi: preservare forme di vita che altrimenti sparirebbero è nostra responsabilità e nostro privilegio. Ma proprio la vasta portata della questione – l’orizzonte temporale pluridecennale, la molteplicità delle cause – impone di prenderla sul serio, evitando semplificazioni “gretiste”.

 

Dire che bisogna fare qualcosa è molto facile; fare qualcosa è più complicato, e fare le cose giuste lo è ancora di più. Per esempio, il rapporto evidenzia che la biodiversità è maggiormente a rischio nella fascia tropicale. È difficile ignorare che molti dei paesi interessati hanno due caratteristiche in comune: sono relativamente poveri e hanno una cattiva qualità istituzionale. L’instabilità politica e la precaria condizione dello stato di diritto spiegano perché la crescita economica fatica ad attecchire; e contribuiscono a mantenerli su un livello tecnologico arretrato. Solo tecnologia e prosperità possono mettere questi paesi nella condizione di intervenire a sostegno della biodiversità. Alle specie a rischio non servono piagnistei ma crescita economica: per salvarle, dobbiamo anzitutto aiutarle a casa loro.