Jim Watson

Lasciate in pace Jim Watson, Nobel per il Dna che teorizza l'inferiorità dei neri

Gilberto Corbellini

Uno scienziato sui generis e le credenze pseudoscientifiche

Forse si potrebbe lasciar morire in pace Jim Watson, l’ultimo padre sopravvissuto dell’icona del Novecento, la doppia elica del Dna. Sarebbe anche il caso di non tormentarlo più, mentre a 90 anni si trova ricoverato per un incidente automobilistico, a causa delle sue ridicole credenze pseudoscientifiche sull’inferiorità cognitiva dei neri africani. Il pregiudizio e l’odio razziale verso i neri, che avvelenano gli Stati Uniti, non saranno attenuati dalla condanna pubblica di un capro espiatorio, la cui colpa sarebbe tanto più grave in quanto si tratta di un famosissimo e ex-potentissimo scienziato. Né è automatico il riconoscimento pubblico di una superiorità morale di chi parla dal pulpito del politicamente corretto.

  

Qualche giorno fa è stato trasmesso un documentario, per la serie American Masters, intitolato “Decoding Watson”, dove il regista Mark Mannucci lo fa parlare di tutto, incluse le posizioni razziste: dicendo di averlo intervistato in tempi diversi sul tema per essere sicuro che non fossero una manifestazione di senilità. Considerando che la prima uscita pubblica con questa posizione è di 12 anni fa, non è confutata l’ipotesi che l’età avanzata abbia privato il povero Watson dei freni inibitori sempre fin lì usati – Watson dice anche che la sua posizione non era da rendere pubblica perché le persone non la capirebbero. Che abbia perso ogni freno inibitorio lo dice la svalutazione dell’intelligenza delle donne e giudizi tranchant e offensivi su colleghi di sempre. L’ascolto delle tesi difese da Watson ha scatenato una ridda di reazioni, tra avversari storici, amici, colleghi ed esperti di scienza dell’intelligenza. Ovviamente tutti lo condannano. Il Cold Spring Harbor Laboratory lo ha privato di ogni carica onoraria. In molti dicono che non lo si dovrebbe far parlare e che è una cattiveria o un danno scambiare per parole di uno scienziato dei deliri senili. Altri non si capacitano, in quanto dicono di non averlo mai visto nel lavoro discriminare un nero o una donna. In passato, dopo aver fatto di queste affermazioni razziste, Watson ha chiesto anche pateticamente scusa e si è detto mortificato se le sue parole avevano fatto male a qualcuno. Non senza ribadire la tesi che trovare differenze razziali nell’intelligenza non è razzismo, perché le prove scientifiche che i neri africani sono meno intelligenti dei bianchi sarebbero fatti che non hanno niente a che vedere col razzismo. Anche un suo dichiarato amico e famosissimo biologo, come Edward O. Wilson, dice che “Jim non è razzista”. Allora? Tutto iniziava nel 2007, quando Watson pubblicò il libro Avoiding the boring people, nel quale erano contenuti passaggi di natura razzista. Gli costò la messa al bando immediata e generale: negli Stati Uniti e in Gran Bretagna furono cancellate tutte le presentazioni in luoghi scientifici, e dovette dimettersi da ogni carica, persino al prestigioso Cold Spring Harbor Laboratory, dove era stato un re indiscusso per decenni. Nessuno lo invitava più e nel 2014 mise in vendita la Medaglia Nobel per oltre 3 milioni di dollari, motivando la scelta con l’ostracismo che stava subendo e l’intento di finanziarsi la ricerca scientifica (a 85 anni!). La medaglia fu acquistata all’asta per 4 milioni di dollari da un magnate russo, che gliela avrebbe restituita. Watson è testardo e presuntuoso a detta di tutti: lo è sempre stato e l’età deve aver peggiorato le cose. Ed è uno scienziato sui generis. Tutti i suoi collaboratori hanno sempre detto che prendeva posizione su questioni scientifiche di pancia, cioè in modo intuitivo. Che, stante come funziona il metodo scientifico, è il modo migliore per sbagliare. E’ impossibile trovare una sua scoperta scientifica di qualche rilievo dopo la doppia elica nel 1953. Il suo amico e collega Francis Crick continuò a produrre fondamentali contributi nell’ambito della biologia molecolare e poi delle neuroscienze – nonché a scrivere mirabili testi di filosofia. Ma Watson nulla. Si diede alla politica e alla gestione dei business scientifici, guidando con una certa arroganza la nascita del Progetto genoma umano. Anche nella scoperta della doppia elica il suo ruolo creativo fu scarso: mise le mani sulle immagini di Rosalind Franklin e si fece spiegare dal suo compagno di stanza i legami chimici che potevano tenere insieme le basi del Dna. Molto furbo a capire i problemi, ma non geniale nel risolverli. Qualcuno lo prese in giro quando gli fu sequenziato il genoma, perché il 16 per cento dei suoi geni vengono da antenati neri africani. E’ possibile che una persona dica cose razziste senza essere razzista? E che questa persona sia un bravo biologo, ma non capisca quali interpretazioni sono valide in merito ai quozienti intellettivi di persone di etnie diverse? Esistono decine di studi che dimostrano come gli scienziati che escono dalle loro aree di competenza perdono le capacità critiche e usano il ragionamento motivato, e in modi a volte più dogmatici delle persone comuni – se sono uno scienziato, benché esperto di meccanica quantistica, per forza ci devo capire e avere ragione anche sugli ogm. Sul razzismo Watson pensa come l’americano medio che in quel qual paese crede che i neri siano meno intelligenti: una storia antica, che risale allo schiavismo pervasivo nel sud e alla persistenza fino agli anni Sessanta di varie forme legali di apartheid. In una recente indagine, metà delle persone di colore intervistate hanno detto di essersi sentite giudicate poco intelligenti da qualcuno di pelle bianca nell’ultimo anno. In Europa il razzismo è contro gli immigrati in quanto minaccerebbero il lavoro, le donne e il welfare. Negli Stati Unità il razzismo assume l’ inferiorità cognitiva e morale dei neri. Un’adesione di pancia, deve essere stata anche quella di Watson alle tesi del libro di Richard J. Herrnestein e Charles Murray The Bell Cuve (1994). Sì, perché Watson dice sull’intelligenza dei neri africani esattamente quello che dicono Herrnestein e Murray – Watson discusse il politologo conservatore Murray. Quelle tesi sono state confutate, con argomenti diversi, da quasi tutti gli studiosi di intelligenza, i quali si dividono in merito al peso dei geni nel determinare i livelli di QI, ma sono tutti d’accordo che è una stupidaggine genetica ed evoluzionistica sostenere che esisterebbero popolazioni umane più o meno intelligenti. Diversi colleghi di Watson, lo hanno invitato a parlare anche con scienziati che studiano l’intelligenza senza pregiudizi. Ma questi si è sempre rifiutato.

 

Il dibattito che si è scatenato illustra la confusione nella percezione comune tra i concetti di razze e razzismo, cioè tra la credenza pseudoscientifica che si possano stabilire delle differenze o gerarchie di intelligenza collegate a presunte razze, e il fatto, scientificamente controllato, che tutti siamo di fondo predisposti a giudizi e comportamenti razzisti. Il dibattito su razze e intelligenza andrebbe affrontato come si affrontano le pseudoscienze, cioè dimostrando e spiegando ai giovani i bias che li possono trascinare nei fraintendimenti razzisti. Come quando dobbiamo spiegare perché malgrado le apparenze non è il sole a girare intorno alla terra, e nondimeno il fatto di averlo capito non cambierò la mostra percezione.

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