Sui vaccini è il tempo degli studi scientifici seri, non delle analisi choc

Enrico Bucci

Tutti gli errori nella denuncia dei free-vax di Corvelva

Le dichiarazioni fatte in seguito alle analisi sul contenuto del vaccino “Infanrix” da parte dei free-vax di Corvelva (Coordinamento Regionale Veneto per la Libertà delle Vaccinazioni), riprese anche in prima pagina dal quotidiano “Il Tempo” (che in tema ha intervistato il presidente dell’ordine nazionale dei biologi) sono un classico esempio di “non sequitur” e sollevano diversi problemi.

 

Cerchiamo innanzitutto di ricostruire i fatti, nella loro semplicità. Un laboratorio al momento ignoto utilizza una metodica piuttosto complessa per valutare il contenuto di alcuni campioni del vaccino. Dal nome della metodica utilizzata, brevettata da privati, si desume che le cosiddette analisi indipendenti sono state condotte secondo un protocollo sviluppato da una piccola azienda milanese, la quale non risulta essere mai stata coinvolta prima d’ora nel controllo certificato di preparati vaccinali. Forse per questo motivo, il gruppo di ricercatori autori delle analisi sottopone i campioni di vaccino a una procedura sbagliata, che non tiene conto della presenza di certi particolari sali di alluminio in molti vaccini, incluso “Infanrix”; per cui quando processa i campioni in un modo da rivelare la presenza degli antigeni immunogenici (i componenti attivi del vaccino) e non ne trova tracce, ne deduce che essi siano assenti. Al contrario, invece, è la metodica utilizzata a non poter funzionare. Non solo; siccome attraverso un colorante specifico i ricercatori trovano una buona quantità di proteine nei vaccini – e guarda caso gli antigeni che non riescono a rivelare con la loro metodica erronea sono proteine – ne deducono che essi, invece di contenere i giusti principi attivi, sono ricchi di un qualche misterioso contaminante proteico che non si riesce ad analizzare altrimenti. Si tratta di un grave abbaglio, giacché in realtà si osserva esattamente ciò che ci si aspetta con le tecniche utilizzate in campioni contenenti alluminio; ma l’interpretazione che i ricercatori ne danno, e che ovviamente è quella attesa da Corvelva – e forse anche da certi direttori di giornale che già un anno fa scrivevano che l’epidemia di morbillo è importata dai migranti – è che il vaccino analizzato sia privo di componenti attivi e contenga invece un contaminante macromolecolare “indissolubile e indigeribile”: un mostro minaccioso annidato in quello che iniettiamo nei nostri bambini. Oltre a ciò, i vaccini esaminati sarebbero contaminati da numerosi altri composti, anche tossici; tuttavia, questo dato è davvero poco solido, visto che, come dichiarato dagli autori stessi, le analisi condotte non possono dare nessuna risposta univoca a causa di quella che potremmo chiamare una sorta di “mancanza di calibrazione” con gli standard opportuni.

 

Sin qui sono arrivato io, con il mio dottorato in biochimica e la mia esperienza diretta in spettrometria di massa (la tecnica analitica utilizzata dagli autori, su cui peraltro ho pure in passato pubblicato qualche articolo scientifico); tuttavia, se il lettore o il direttore del Tempo non fossero convinti delle mie capacità di comprendonio in materia, potrebbero tranquillamente rivolgersi ad altri. Per esempio, potrebbero chiedere al professor Gennaro Marino, accademico nazionale dei Lincei, il quale ha dedicato la sua vita alla proteomica e alla spettrometria di massa – cioè allo sviluppo e all’applicazione di quei metodi di analisi utilizzati dagli autori. Egli risponderebbe che non è corretto analizzare le proteine direttamente sul formulato farmaceutico, ma è necessario eliminare preliminarmente tutte le sostanze che interferiscono con i passaggi successivi, proprio per evitare gli abbagli (tecnicamente falsi positivi e negativi) in cui si incorre utilizzando la tecnica descritta senza seguire i protocolli definiti dalla comunità scientifica internazionale per analizzare anche i vaccini. 

 

Oppure potrebbero chiedere al professor Alessandro Finazzi Agrò, già ordinario di biochimica all’Università di Tor Vergata ed esperto di enzimologia, il quale gli spiegherebbe che la sperimentazione condotta, così come è stata descritta, è irrimediabilmente fallata, perché a giudicare dal documento pubblicato non si è provveduto a eliminare dai campioni esaminati i metalli (come l’alluminio) e altri possibili stabilizzanti aggiunti al vaccino proprio per impedire la degradazione dei principi attivi.

 

Ancora, se volessero sentire invece un esperto in tossicologia di fama internazionale, potrebbero rivolgersi al professor Gerry Melino, per dieci anni direttore del dipartimento di Medicina Sperimentale all’Università di Tor Vergata, con lunga esperienza presso la Unità di Tossicologia del Medical Research Council di Cambridge in Inghilterra: anche in questo caso, la risposta sarebbe la stessa, e cioè che le analisi sono state condotte in maniera del tutto inappropriata e le conclusioni corrispondono a prendere fischi per fiaschi. Altro che stabilire la presenza di componenti tossici nei vaccini esaminati. Per non tediare il lettore, mi fermo qui, in un elenco che potrebbe continuare a lungo.

 

Tuttavia mi interessa sottolineare ancora un punto. Quando si rilancia sulle prime pagine di un giornale un lavoro, per altro mai pubblicato su riviste scientifiche, la cui importanza, se solo fosse vero, sarebbe capitale in un dibattito importante come quello che riguarda la salute pubblica, bisognerebbe come minimo attendere che i dati siano stati sottoposti alla peer review degli esperti; il che può avvenire o attraverso una pubblicazione scientifica, o attraverso la messa a disposizione della comunità di tutti i risultati in originale, corredati dei famosi numerini a cui troppi sono oramai allergici, in modo che essi possano essere sottoposti a una approfondita valutazione e, nel caso, a una replica sperimentale.

 

Invece, l’unico documento disponibile pubblicamente è quello di un’associazione cosiddetta “free-vax”, la quale già in passato si è distinta, se diamo retta a quanto scritto proprio dal Foglio, per avere per esempio commissionato articoli negazionisti sulla Xylella basati sulle improbabili tesi e sulle “energie vibrazionali” inventate da un ex dipendente del Cnr in pensione. Del resto, il direttore del giornale romano che ha prestato orecchio a questa associazione è a sua volta noto per aver confuso correlazione con causalità, suggerendo che fosse l’aumento di casi di malattia riscontrati sui migranti a causare l’epidemia di morbillo in Italia, un’ennesima enormità. Per non parlare del presidente dell’ordine dei biologi, intervistato sulle pagine di quel giornale, che ha ritenuto perfettamente normale dare spazio in un evento di rilevanza nazionale a studiosi – presentati come “due volte candidati al Nobel” – che non disdegnarono a loro tempo il siero di Bonifacio, un intruglio a base di urina di capra proposto per curare il cancro.

 

Forse qualcuno può credere che, in nome di una presunta indipendenza, Corvelva e la comunità che intorno a essa ruota diano più garanzie rispetto alla maggioranza della comunità accademica e scientifica nazionale ed internazionale. Tuttavia, vorrei ricordare in chiusura che essere indipendenti dalle case farmaceutiche non vuol dire affatto essere indipendenti tout court.

 

Enrico Bucci, SHRO, Temple University-Philadelphia

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