Una scena di Scemo & più scemo (Dumb and Dumber), film del 1994, diretto da Peter Farrelly ed interpretato da Jim Carrey e Jeff Daniels

Questo articolo diventerà virale? Chiedilo a chi non legge i giornali

Daniele Pirozzi

Un team di neuroscienziati è riuscito a prevedere il successo di un contenuto online osservando l’attività cerebrale di un piccolo gruppo di persone. Il migliore nell'indovinare è chi non legge regolarmente le news

Anche se forse ha perso parte della sua valenza positiva, ​condivisione​ è la parola che meglio riassume l’attività dell’essere umano del ventunesimo secolo. Ogni giorno scriviamo 4 miliardi di post su Facebook, 200 miliardi di mail e 500 milioni di tweet, il che ci rende dei tennisti del web, impegnati a scegliere se e dove rimpallare i contenuti online a loro volta condivisi dai profili social di amici, sconosciuti, giornali e siti web più o meno affidabili. Sebbene Zuckerberg e compagni non abbiano ancora inventato un algoritmo in grado di prevedere se un contenuto farà il giro del mondo o se sarà condiviso da un numero esiguo di persone, una svolta sembra arrivare dal campo delle neuroscienze.

  

Secondo un nuovo studio pubblicato sulla rivista Cerebral Cortex, infatti, ​a predire con più precisione quali articoli diventeranno popolari, sarebbe chi non legge regolarmente le news.Una conclusione paradossale ma neurobiologicamente sensata​.​ Un team di ricercatori dell’University of Pennsylvania ha analizzato, tramite fMRI, l’attività cerebrale di 41 persone impegnate a leggere i titoli e gli estratti di alcuni articoli del New York Times e a indicare entro tre secondi con quale probabilità avrebbero proseguito nella lettura. I contenuti, pubblicati tra il 2012 e il 2013, trattavano argomenti come nutrizione, fitness e vita sana, e prima di ogni scansione i partecipanti indicavano in un questionario con quale frequenza erano soliti leggere news simili e/o altri articoli tratti dal New York Times o da altri giornali. Lo scopo dello studio era capire se ci fosse un collegamento tra l’attività cerebrale di chi legge, il grado di apprezzamento di un articolo e il numero di condivisioni ottenute nella realtà.

  

Concentrandosi sulla corteccia prefrontale ventromediale (vmPFC) − una regione implicata nella valutazione positiva di uno stimolo − i ricercatori hanno scoperto delle nette differenze nell’attività neuronale dei lettori abituali e dei non lettori: ​i primi, infatti, apprezzavano indistintamente ciascuno degli articoli proposti e questo si rifletteva in una maggiore attivazione cerebrale durante lo svolgimento dell’intero compito. Al contrario, tra i non lettori, la stessa regione si attivava solo leggendo articoli divenuti realmente virali. Detto diversamente, l’attività cerebrale di chi non legge le news rispecchiava più fedelmente i giudizi di consenso della popolazione generale.

   

Questi risultati potrebbero attirare l’attenzione di esperti di marketing e content creator, poiché ribaltano la logica comune secondo la quale per far sì che un prodotto abbia successo ci si deve rivolgere a chi quel prodotto lo utilizza regolarmente.

  

Inoltre, misurando il grado di connettività tra la vmPFC e altre regioni del cervello, si è riscontrata, nei non lettori, una minore interazione con la corteccia prefrontale dorsolaterale (dlPFC), deputata al controllo cognitivo. Studi precedenti hanno dimostrato che la connessione tra queste due aree tende ad essere più elevata durante le decisioni che richiedono autocontrollo. Questo potrebbe far pensare che la viralità di un articolo sia la conseguenza di una valutazione basata su risposte più immediate e meno controllate, il che sembra coincidere con l'epoca storica in cui viviamo, nella quale leggere i giornali spesso si riduce (proprio come nell’esperimento) a una lettura rapida del titolo o delle prime righe di un articolo, impegnati in una valutazione istantanea di quanto un contenuto può interessarci e in quanti like potrebbe tradursi.

   

Sebbene non siano sufficienti a spiegare il perché alcuni articoli divengono più virali di altri, i dati emersi dimostrano che l’attività cerebrale di un piccolo gruppo di persone potrebbe predire il comportamento di una popolazione più ampia, anche quando le motivazioni alla base del comportamento stesso − in questo caso leggere o condividere un contenuto − possono differire da persona a persona.