La risposta all'inquinamento è la tecnologia

Maria Carla Sicilia

Tutti gli occhi sono puntati sulla mobilità, ma anche nel termico l'innovazione può fare la sua parte per evitare le solite emergenze smog

Parlare di inquinamento atmosferico spesso significa parlare di smog, traffico e diesel. Finora infatti il dibattito sull'elettrificazione dei consumi energetici, utile a ridurre le emissioni di gas serra, si è molto soffermato sulla mobilità. Sappiamo per esempio che i motori elettrificati avranno un ruolo centrale nel futuro dei trasporti, settore a cui è richiesto uno sforzo notevole per centrare i target su CO2 e polveri sottili, che specialmente nei centri urbani e industrializzati, in Italia come in altri paesi, sforano ciclicamente i limiti raccomandati. Più in generale, tra elettrico, gas e biocarburanti, l'Unione europea ha da poco fissato un nuovo obiettivo per la quota rinnovabile nei trasporti che al 2030 deve raggiungere il 14 per cento. Nell'accordo raggiunto a giugno, l'Ue ha rilanciato sull'intera quota di consumi finali di energia coperti da rinnovabili, portando il target al 32 per cento. Ma se sui trasporti è stata individuata una quota di riferimento, sul fronte del riscaldamento e del raffreddamento l'ambizione europea si è dimostrata più timida: l'apporto di fonti rinnovabili nel termico dovrà crescere “indicativamente” di 1,3 punti percentuali ogni anno. La scarsa attenzione istituzionale sul tema e la mancanza di un target di riferimento rende più lenta la trasformazione del settore, ma i dati sull'inquinamento che produce suggeriscono un mercato ancora tutto da aggredire con tecnologie nuove capaci di rispondere alle nuove sfide.

 

Secondo Francesco Peduto, presidente del Consiglio nazionale dei geologi, “per il futuro, lo sfruttamento dell'energia geotermica sarà fondamentale per lo sviluppo energetico del paese”. Un mese fa il Consiglio ha organizzato un incontro sull'applicazione della geotermia a bassa entalpia nel riscaldamento attraverso le pompe di calore, che hanno il duplice vantaggio di concorrere a incrementare la quota di rinnovabile nel settore termico e di non produrre emissioni. A differenza delle pompe di calore tradizionali, che sono più dispendiose dal punto di vista dei consumi, quelle geotermiche, che estraggono calore dal sottosuolo, consumano meno energia elettrica. In Italia di impianti del genere ce ne sono circa il 3 per cento del totale, cioè circa 30 mila, secondo i dati forniti al convegno.

 

Ad investire nel settore pochi giorni fa è stato il gruppo Veos, completando la prima filiera italiana di riscaldamento e raffrescamento senza combustione ed emissioni. Con l'acquisizione di E.Geo, società che realizza impianti geotermici a bassa entalpia, Veos ha affiancato alla produzione di pompe di calore le competenze necessarie a realizzare anche i pozzi. Del gruppo faceva già parte Teon, divisione che ha brevettato una tecnologia chiamata Tina, capace di far raggiungere alle pompe di calore geotermiche anche 80°. Secondo una simulazione del gruppo, sostituire mille caldaie a gasolio con la tecnologia Tina consentirebbe un risparmio di 95 mila tonnellate di CO2 l'anno, l'equivalente di 134 mila automobili. Per avere un'idea, solo a Milano di caldaie a gasolio se ne contano ancora 3.500. “L'opportunità che ravvisiamo in questa tecnologia è la possibilità di aggredire il 90 per cento dell'edificato italiano”, dice al Foglio Riccardo Bani, vicepresiedente di Veos, che proprio nella sostituzione dei vecchi impianti vede spazio per il prodotto che produce. “Se gli obiettivi sono efficienza, con la diminuzione dei consumi elettrici, riduzione delle emissioni, azzerando almeno in loco la produzione di CO2 e di particolato, e l'incremento della quota di energia rinnovabile, la nostra è la tecnologia giusta per rispondere agli impegni che il paese ha assunto in sede europea”.

 

Nel settore termico italiano la componente rinnovabile arriva appena al 19 per cento, con l'81 per cento prodotto da fonti tradizionali. Un dato che resta sostanzialmente stabile dal 2008 anche per via dei limitati investimenti tecnologici che fanno delle caldaie a condensazione alimentate con il gas naturale il mezzo più efficiente e diffuso. Eppure in alcune aree critiche il riscaldamento incide più dei trasporti sulle emissioni di polveri sottili e CO2. Non solo vecchie caldaie a gasolio, anche ciò che è rinnovabile contribuisce all'inquinamento atmosferico: legna e pellet sono la prima fonte rinnovabile nel settore, con tutto ciò che ne consegue dalla loro combustione. Uno studio di un anno fa del Politecnico di Milano sull'inquinamento atmosferico in cinque città italiane ha rivelato come il riscaldamento degli edifici produca in media ogni giorno tra il 50 e il 75 per cento delle emissioni di CO2 e tra il 10 e il 30 per cento di particolato. Prendere nota di questi dati può servire a progettare uno sforzo più equo per tutti i settori industriali ma anche a valutare nel merito il mix di tecnologie più appropriato per garantire alle città di non ripiombare in ricorrenti emergenze smog e blocchi del traffico.