Internet ci renderà stupidi? Conversazione con Paolo Crepet
Si può parlare davvero di assedio della tecnologia alla sfera creativa? “I danni si vedranno tra qualche anno”, spiega lo psichiatra
Da quando Nicholas Carr ha scritto il celebre saggio Is Google making us stupid? schiere di studiosi, giornalisti ed esperti si interrogano sugli effetti che l’utilizzo della rete può avere sulla mente umana. A quasi dieci anni di distanza da quella provocazione profetica, il problema che poneva Carr non è più semplicemente di natura cognitiva ma arriva a sfiorare la sfera evolutiva. L’affermarsi della tecnologia mobile non ha fatto altro che accelerare in maniera paurosa il processo di trasferimento delle capacità umane, comprese quelle creative.
Si pensi, banalmente, alla scrittura a mano. La Finlandia è stato uno dei primi paesi ad abbandonare il suo insegnamento nelle scuole elementari. Ci si è chiesti a che serve, se al giorno d’oggi tutti scrivono utilizzando una tastiera? Già qualche anno fa il Washington Post lamentava la scomparsa del corsivo dalle scuole pubbliche americane, causata dell’introduzione del Common Core State Standard, il protocollo educativo che lascia ampia autonomia decisionale in materia ai singoli stati. Tutto ciò in barba agli innumerevoli studi scientifici che dimostrano come la scrittura a mano sia un’attività benefica sia dal punto di vista cognitivo che motorio. In particolare uno di essi ha recentemente dimostrato la correlazione tra scrittura al computer e diminuita capacità motoria delle braccia.
Ma l’assedio della tecnologia alla sfera creativa non si ferma alla sola scrittura: ormai esiste una app quasi per ogni funzione che richieda un engagement creativo o cognitivo. L’ultima in ordine di tempo è AutoDraw, un progetto di Google basato sull’intelligenza artificiale. È sufficiente tracciare un disegno a mano libera e subito il software offre diverse interpretazioni sul soggetto disegnato: basta un clic e il nostro scarabocchio si trasforma in un vettoriale perfetto! C’è poi SwiftScribe, del colosso cinese Baidu, capace di trascrivere un testo complesso a partire da una registrazione audio; oppure Google Translate, sempre più accurato grazie ai nuovi sviluppi delle reti neurali. L’elenco potrebbe continuare a lungo, ma il concetto è chiaro.
Paolo Crepet si occupa ormai da molti anni del rapporto tra l’uomo e la tecnologia cercando di intravedere le possibili implicazioni sociologiche. Crepet – per dirla con parole sue – non è contro la tecnologia, piuttosto è per l’uomo, come specifica nel suo ultimo libro Baciami senza rete (Mondadori, 2016): “internet e la tecnologia digitale hanno rappresentato la più grande e straordinaria rivoluzione che l’uomo abbia mai potuto concepire, promuovere e vivere”. Affermazioni che sgombrano il campo da ogni possibile accusa di luddismo. La preoccupazione è rivolta piuttosto alle conseguenze che un uso smodato delle nuove tecnologie possa avere in particolare sui giovani.
“I danni si vedranno tra qualche anno” esordisce: “è tutto da vedere cosa produrrà in termini creativi un bambino nativo digitale, che non conosce una penna o un pennarello. Una considerazione sulla quale si riflette molto poco: in età evolutiva il disegno è lo specchio dell’anima. Laddove la comunicazione verbale è ancora poco sviluppata, il disegno è fondamentale per comprendere, ad esempio, se il bambino ha subito dei traumi. Se non abbiamo più il disegno il bambino è muto. Un evento terribile perché significa non avere più alcuna possibilità di entrare in questo mondo”.
Paolo Crepet al Festival Collisioni 2014 (foto LaPresse)
La scelta della scuola di ripiegare sul digitale è “un tentativo di seguire la moda” e comporterà secondo Crepet un “decadimento della qualità dell’insegnamento tradizionale. È evidente che un bambino piccolo è attratto dalla luce e dai colori: un tablet che offre questi due elementi diventa fonte di curiosità, ma questo non significa assolutamente nulla”.
“Metto in discussione la tecnologia digitale perché, mossa dalla ricerca del profitto, vuole sostituirsi a tutto quello che abbiamo” incalza lo psicologo. “Dal punto di vista evolutivo la prospettiva è senz’altro quella di un impoverimento delle capacità creative”.
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