Marocco, si aprono i lavori di COP22 (foto LaPresse)

Quindi fa caldo a Marrakech?

Redazione
Si è aperto il summit delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. L’ennesimo incontro pieno di belle speranze e soluzioni così a lungo termine che saranno impossibili da smentire. Il “negazionista” Paolo Mieli e i cliché di chi sa già tutto sul clima.

Passato in secondo piano per “colpa” delle elezioni americane, due giorni fa a Marrakech si è aperto il summit delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. L’ennesimo incontro pieno di belle speranze e soluzioni così a lungo termine che saranno impossibili da smentire, come abbiamo già raccontato su queste pagine. Da anni ormai sui media mainstream è accettata da tutti la versione catastrofista e colpevolista, secondo la quale l’uomo è la causa di qualunque evento climatico e meteorologico estremo avvenga sul pianeta. Poco importa se gran parte delle profezie più pessimiste non si sia avverata, la retorica del “se non agiamo ora sarà troppo tardi” continua a funzionare da almeno tre lustri, a dispetto della sua contingenza.

 

Sono passati dieci anni dal documentario “Una scomoda verità”, con cui Al Gore spiegava che non c’era più tempo per salvare il mondo, e oggi gli stessi allarmi sono lanciati da Leonardo DiCaprio in “Before the flood”. Che sia battaglia ideologica – a tratti persino religiosa – più che scientifica risulta evidente dai toni di chi sostiene che quella contro i cambiamenti climatici sia una missione morale, portata avanti da chi sta dalla parte giusta della storia. Chi avanza dubbi sulla correlazione scientifica tra temperature e CO2 prodotta dall’uomo è censurato e attaccato come “negazionista”; persino chi prova a parlare di soluzioni diverse come l’adattamento al riscaldamento globale è additato come irresponsabile, ed escluso dal dibattito pubblico.

 

Proprio per questo sorprende positivamente la posizione espressa sul Corriere della Sera di lunedì da Paolo Mieli. L’ex direttore dello storico quotidiano ha argomentato i suoi dubbi proprio sui toni della battaglia, sottolineando soprattutto le evidenti incongruenze nelle scelte politiche ed economiche prese dopo i dispendiosi summit delle Nazioni Unite. Come prevedibile, l’editoriale di Mieli è stato pigramente attaccato con i soliti cliché (“negazionista!”, “e le lobby del petrolio, allora?”). Da anni si è deciso che l’argomento è chiuso, e l’essere climaticamente corretti è la nuova patente di presentabilità sociale. Per questo l’editoriale di Mieli meriterebbe di non restare un caso isolato.

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