Campo di grano con volo di corvi, Vincent van Gogh. Olio su tela, 50,3x103 cm, 1890, van Gogh Museum, Amsterdam

Chi crede alla favola anti Ogm

Roberto Defez
Dietro la fobia per le biotecnologie c’è un dogma neopagano per cui “la Natura è buona e giusta”. E questo disconosce l’immenso lavoro e il dolore, fatto di malnutrizioni, intossicazioni e carestie, che hanno patito i nostri avi per selezionare le piante che consumiamo.

Circa 10 mila anni fa la coltivazione dei cereali inizia a guidare l’evoluzione culturale di civiltà diverse e distanti e consente loro di prevalere sulle altre. Probabilmente prima dell’agricoltura, nasce la pastorizia e anch’essa è parte di questo stesso processo di conversione dell’uomo da migratore a stanziale. È facile intuire che greggi e mandrie siano state addomesticate rendendo gli animali progressivamente più mansueti e selezionando quelli più docili. Lo stesso concetto vale per l’agricoltura. Anche le piante sono state addomesticate, poiché non è nel progetto di nessun organismo vivente sul pianeta, piante incluse, di crescere per nutrire altri esseri viventi. Ed è per questo che selezioniamo le piante adatte alla domesticazione e ne consentiamo la riproduzione ai danni di altre. Il neopaganesimo, che professa il dogma “è buono perché è naturale”, disconosce l’immenso lavoro e il dolore, fatto di malnutrizioni, intossicazioni e carestie, che hanno patito i nostri avi per selezionare le piante che consumiamo.

 

In generale, comunque, le piante tendono a difendersi da tutti i predatori (uomo incluso) e hanno come principale obiettivo quello di riprodursi mettendo la progenie nelle migliori condizioni possibili per potersi sviluppare. I vegetali si difendono con spine, cortecce, veleni, sapori disgustosi e sostanze indigeste di ogni tipo. Addomesticare le piante ha comportato la selezione progressiva di quelle che avevano le minori difese ed erano meno tossiche per l’alimentazione umana. In pratica, abbiamo spogliato le piante di molte loro difese, di conseguenza ora ci dobbiamo industriare per proteggerle da quei patogeni o competitori che possono attaccarle per nutrirsi (così come facciamo noi). Non è un caso se non ci alimentiamo di erbe o di piante infestanti, che pure sarebbero molto più facili da coltivare. Le piante che mangiamo sono quindi l’opposto di quello che avrebbe selezionato l’evoluzione naturale: sono piante selezionate dal predatore (noi), di cui mangiamo i figli (i semi). Le piante coltivate sono le più inadatte a vivere in natura, con frutti grandi, succosi e dolci. E’ come se avessimo selezionato dei topi perché saltino in bocca ai gatti: niente di più innaturale ed opposto alla selezione della specie. [...]

 

L’avversione all’uso della chimica in agricoltura, poi trasformatasi paradossalmente nella fobia verso gli Ogm (Organismi geneticamente modificati), è insita in componenti della società tra loro molto diverse e non è banalmente riconducibile ai soli gruppi d’interesse che speculano sulle paure della gente per trarne profitto. A fianco di questi attori c’è una parte importante della popolazione che vive un vero disagio nell’essersi allontanata dalle campagne e dalla produzione primaria di alimenti: per costoro sia l’uso di agrofarmaci sia il rimedio per ridurne l’uso, ossia gli Ogm oggi in commercio, risultano un modo per allontanarsi dall’idea bucolica ed ingenua dei cibi di una volta, senza avere alcuna esperienza né degli aspetti agronomici né di quanto i cibi di allora fossero pericolosi. Provenendo dallo stress della vita di città e concependo la vita della campagna come una vacanza, costoro immaginano piante che crescono da sole con l’acqua buona, il sole e lo sguardo attento del “contadino” della pubblicità.

 



 

I timori di queste persone sono di carattere emotivo e le portano a diffidare di generiche rassicurazioni, nel timore (in parte fondato) che mascherino interessi commerciali. Ma se per curarsi usano la procedura medico-ricetta-farmacia, devono auspicare che per l’uso di agrofarmaci si seguano delle analoghe prescrizioni e posologie. Invece, senza rendersi conto che queste loro reazioni emotive favoriscono altri interessi commerciali, con la propria avversione agli Ogm non fanno che incentivare proprio un uso eccessivo di agrofarmaci che potrebbero essere risparmiati da alcuni tipi di piante Ogm.
Solo gli anziani o chi ha studiato la storia italiana del dopoguerra a oggi sa quanto sia cambiato il paese in questo periodo. Nel 1951 un agricoltore lavorando un capo di 2,3 ettari alimentava la sua famiglia, mentre oggi deve nutrire un condominio, quindi la terra deve produrre oltre cinque volte di più di cinquant’anni fa.

 

Si tratta di una transizione drammatica, con stravolgimento degli equilibri relazionali e familiari. Il richiamo della terra, e della terra d’origine, si mescola con l’idea di un ritorno alla gioventù svanita, a migliori relazioni umane e a cicli vitali meno stressanti. Nessuno meglio di Antonio Pascale ha descritto la confusione tra i sapori nostalgici del tempo che fu e il fatto che chi li ricorda sta parlando soprattutto della sua gioventù, prescindendo da una analisi seria di quanto sia migliorata la qualità degli alimenti che consumiamo oggi rispetto a quelli che mangiavano i nostri padri o i nostri nonni. Per esempio, difficilmente si ricorda che il motore che muove la vicenda del Pinocchio di Collodi nel 1883 è la fame, la denutrizione del popolo intero. La natura si personifica in un’entità benevola, preveggente, sicura. Tutto ciò che quella Natura idealizzata produce è salutare, al contrario di quanto è prodotto dall’uomo, che diventa innaturale, artefatto, inquinato.

 



 

La velocità con cui è avvenuta la transizione tra campagna e città ha generato un’ondata di desiderio di ritorno alle origini, o a quelle relazioni umane perse nell’asfissiante comunità cittadina. Per misurare la distanza dalla civiltà contadina può essere considerato indicativo il fatto che personaggi come Topolino, Stilton o Topo Gigio, beniamini dei bambini, siano dei topi, ossia proprio quegli animali che per secoli hanno rappresentato la causa di carestie e pestilenze che hanno ripetutamente falcidiato la popolazione umana con decine di milioni di decessi. I topi sono diventati addirittura animali da proteggere, così nell’aprile 2013 un gruppo di animalisti ha devastato lo stabulario dell’istituto  di Farmacologia dell’università di Milano, rovinando esperimenti durati anni, scagliandosi contro Silvio Garattini, fondatore dell’istituto Mario Negri. Il gruppo “Pro Test” si è costituito non solo per contrastare questa deriva antiscientifica, ma anche per chiarire quali benefici l’uomo ha tratto dalla sperimentazione animale, condotta da decenni in condizioni di profondo rispetto per la sofferenza e la dignità degli animali. La scienziata e senatrice a vita Elena Cattaneo ha proposto di inserire un’etichetta sui farmaci che mostri quanto siano indispensabili i test su cavie per avere medicamenti o anestetici affidabili. E chiede lo stesso tipo di trasparenza verso i consumatori riguardo ai derivati da animali nutriti con mangimi Ogm. [...]

 



 

Sul banco degli imputati delle discipline che manipolano la natura è finita ancora una volta la chimica, rea di aver inquinato il terreno, l’acqua, l’aria. Se è vero che più di un eccesso è stato commesso dalle aziende chimiche, che hanno scaricato veleni senza controllo, allo stesso tempo è inaccettabile che sia la chimica in quanto tale a essere criminalizzata. La chimica è scienza che permette di isolare sostanze da piante o microrganismi, di purificarle da migliaia di altre molecole e di restituirle come principio attivo, evitando che per assumere quel principio attivo si debba ingerire una quantità di altre sostanze inutili o dannose. Il caso della tossina Bt di Bacillus thuringiensis rientra in questo ambito: quando è inclusa nelle spore dell’intero batterio diventa il più diffuso insetticida usato dall’agricoltura biologica, ma se si isola uno solo dei circa 5 mila geni di cui si compone il genoma batterico e questo viene trasferito in una pianta dove svolge il ruolo di insetticida, ecco che nascono paure ossessive e richieste di test di sicurezza sanitaria. Perchè quegli stessi test non vengono pretesi sulle spore del batterio che, oltre a quella identica tossina, portano ancora centinaia di altre sostanze in gran parte ignote?

 

La differenza tra le due strategie sta solo nel nome: la tecnica di usare un solo gene conduce a un Ogm, l’altra via si chiama agricoltura biologica e come tale non deve dimostrare nulla a nessuno perché la Natura è buona, sicura e giusta. Si tratta in tutta evidenza di strategie comunicative di indubbia efficacia, che possono dare un vantaggio commerciale importante se usate in un contesto pubblicitario, ma che prescindono da qualunque dato scientifico. La natura non è benevola né vendicativa e, se l’uomo vuole preservare la sua specie, la deve continuamente proteggere. La chimica è ancora sotto attacco da parte dell’opinione pubblica europea, la cui prima preoccupazione riguardo all’alimentazione è la sistematica paura di consumare cibi inquinati da pesticidi, quando invece il maggior pericolo deriva da cibi mal conservati e inquinati da microrganismi patogeni per l’uomo. Da anni quindi l’obiettivo – pure in larga parte condivisibile, tranne che per i toni da crociata e gli approcci integralisti – è quello di ridurre l’impatto, minore persistenza, minore tossicità e più mirato bersaglio verso specifici patogeni, aiutandosi con le poche forme possibili di lotta integrata e confusione sessuale degli insetti patogeni.

 

In questo clima, le aziende chimiche hanno cercato di assumere un basso profilo e, pur essendo in parte coinvolte nella sostituzione dei pesticidi chimici con le nuove applicazioni biotecnologiche, hanno sistematicamente evitato di esporsi troppo con il pubblico sul tema così impopolare degli Ogm. In particolare, le aziende chimiche europee si sono specializzate nella produzione di agrofarmaci e, benché dispongano anche di qualche linea di semi biotech, il loro core business è nella chimica agrofaramceutica. All’opposto, le multinazionali statunitensi hanno ormai quasi abbandonato la chimica per la produzione di agrofarmaci per concentrarsi sulle innovazioni tecnologiche, proteggendo con brevetto (oggetto di tante polemiche) gli Ogm che sono ormai il loro vero core business. Oggi tutti i principali Ogm in commercio abbattono l’uso della chimica in agricoltura, sia per la riduzione dell’utilizzo di insetticidi sia per la sostituzione e la diminuzione complessiva di principi attivi a troppo lunga vita media negli erbicidi. L’associazione dell’agricoltura biologica statunitense stima che, grazie alla varietà Bt di cotone e mais (Ogm), in sedici anni si sia evitato l’impiego di 56 mila tonnellate di insetticidi. Tuttavia l’ostilità mediatica che circonda le aziende chimiche europee impedisce loro di affrontare la tematica Ogm con la dovuta serenità, con il risultato di lasciare che la partita venga giocata quasi esclusivamente dalle aziende statunitensi mentre loro cercano una nuova presentabilità mediatica nei campi della lotta integrata e della chimica verde.

 


Pubblichiamo stralci del libro “Il caso Ogm. Il dibattito sugli organismi geneticamente modficati”, edito da Carocci (147 pp., 11 euro) e scritto da Roberto Defez. L’autore dirige il laboratorio di biotecnologie microbiche all’Istituto di bioscienze del Cnr di Napoli

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