Uno dei resti dell'Homo Naledi rinvenuti nella grotta in Sudafrica

La sensazionale scoperta dell'Homo Naledi

Maurizio Stefanini
In Sudafrica un team di speleologi trova i resti di ominidi risalenti a circa 3 milioni di anni. Ma non è solo l'età a sorprendere gli studiosi
In realtà l’Homo Naledi non è stato scoperto adesso, ma due anni fa, esattamente il 13 settembre del 2013, dagli speleologhi Steve Tucker et Rick Hunter, in quel sistema di grotte carsiche che si chiamano Rising Star, e che si trovano a 50 chilometri da Johannesburg. Delle conformazioni rocciose denominate la “stella nascente”, e siccome nella lingua ancestrale del luogo, il sesotho, “stella” si dice “naledi”, lo hanno ribattezzato Homo Naledi. Non è il più antico antenato dell’uomo finora scoperto. Il primato spetta al Sahelanthropus tchadensis, di cui nel 2001 furono trovati in Ciad un cranio, cinque pezzi di mascella e una manciata di denti, e che risale a 7 milioni di anni fa. Più del doppio rispetto ai 3,2 milioni di anni di età della famosa “Lucy”, l’Australopithecus afarensis. Il suo scheletro fu ritrovato in Etiopia il 30 novembre 1974 e fu ribattezzato col titolo di una canzone dei Beatles. Le ossa ritrovate ora in Sudafrica potrebbero però essere il più antico esempio finora rinvenuto del genere Homo, che nell’evoluzione umana rappresenta la tappa finale. La datazione delle ossa dell’Homo Naledi è ancora da verificare ma secondo i primi esami dei geologi, compiuti anche sulla base dell’età della caverna dove hanno trovato gli scheletri, i resti potrebbero avere 3 milioni di anni. Più probabilmente, gli almeno 15 individui cui appartengono i 1.754 resti trovati, tra cui neonati, giovani e anziani, vissero tra i 2,8 e i 2,5 milioni di anni fa. Nel gennaio del 2013 era stato trovato in Etiopia un pezzetto di mascella attribuito a un Homo la cui specie, per la scarsità dei materiali rinvenuti, non fu identificata, ma che comunque risaliva sicuramente a 2,8 milioni di anni fa, rendendo quei qui resti probabilmente più antichi anche di quelli dell’Homo Naledi.

 

Gli studi di Lee Rogers Berger, paleoantropologo all’University of Witswaterstrand di Johannesburg, con il contribuito anche di National Geographic Society e del Dipartimento per la Scienza e la Tecnologia/National Research Foundation del Sudafrica, hanno oggi identificato i resti dell’Homo Naledi come quelli appartenenti a una nuova specie. Nel team internazionale di oltre 50 ricercatori che hanno contribuito alla scoperta c’è anche un italiano, Damiano Marchi, antropologo del dipartimento di biologia dell’Università di Pisa.

 

Il numero di resti ritrovati è insolitamente ricca. In genere, specie nel caso dei ritrovamenti più antichi, gli scienziati devono fare autentiche acrobazie interpretative a partire da reperti scarsissimi. Non è stato il caso dell’Homo Naledi di cui sono state rinvenute ben 1.754 ossa appartenenti a 15 individui diversi. Tra l’altro, il pozzo era talmente stretto che si è dovuto ricorrere a un team di speleologi e ricercatori particolarmente snelli, tra cui molte donne. Al termine di una feritoia naturale e di un notevole dislivello sotto terra, gli speleologi hanno rinvenuto una grotta. La quantità di reperti ossei rinvenuti lascia pensare che si tratti di una specie di cimitero. Ed è qui che la scoperta assume un valore sensazionale. Solo nel 2013 era stato appurato che l’Homo di Neanderthal di 50.000 anni fa, ritrovato nel 1908 a La Chapelle-aux-Saints, era stato  seppellito intenzionalmente (anche se qualche studioso nutre ancora dubbi in merito). Ora, se confermata l’età dei reperti rinvenuti nella grotta del Sudafrica, la nuova scoperta proverebbe l’esistenza di pratiche mortuarie simili a quelle dell’Homo di Neanderthal, ma avvenute molto tempo prima, ben 2,8 milioni di anni fa, prima ancora dell’Homo Abilis! D’altra parte, l’Homo Naledi tradisce un insolito intreccio di caratteristiche, alcune più vicine a quelle dei primati e altre più simili a quelle degli ominidi. Aveva sì un cervello molto piccolo, più simile a quello di  un gorilla che di un Homo, il bacino e le spalle molto ridotti e le dita estremamente curve, a indicare una particolare abilità ad arrampicarsi. Ma i denti minuti, le gambe lunghe adatte a camminate continuate, e la struttura dei piedi lo avvicinano molto all’uomo moderno.

 

[**Video_box_2**]Certo, la scoperta fatta dal team di speleologi potrebbe riscrivere la storia dell’evoluzione umana. Eppure è da tener presente che lo scarto esistente tra il tempo trascorso (milioni di anni) e la scarsità delle testimonianze fossili rinvenute, in proporzione è tale da far sì che ogni importante ritrovamento del genere possa cambiare nuovamente e all’improvviso le teorie sull’evoluzione umana.   

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