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espandere la mente

Il campo d'azione della psichiatria si è ristretto. E non è un bene

Silvio Scarone

Lo scopo della terapia farmacologica è il miglioramento della sintomatologia e la prevenzione delle riacutizzazioni. Purtroppo questa disciplina sta diventando il controllore della devianza comportamentale. Con poca attenzione alla sua origine e alla sua reale valenza clinica

Pubblichiamo due lettere in risposta all’intervento di Michele Cerquetti (“Si può parlare di salute mentale senza essere schiavi della retorica?”) pubblicato sul Foglio dell’11 ottobre. L’autore di questa prima lettera è Franco Rotelli, uno psichiatra che ha lavorato per anni con Franco Basaglia, promotore della riforma psichiatrica in Italia e della legge che porta il suo nome, e dopo di lui ha assunto nel 1980 la direzione dei servizi psichiatrici di Trieste.


Al direttore - Ho letto con attenzione la lettera che le ha inviato il dottor Cerquetti e accolgo volentieri la sua richiesta di “cominciare a parlarne”. Mi limito a commentare tre aspetti clinici: gli Spdc (Servizi psichiatrici di diagnosi e cura) sono “famigerati”; i pazienti vengono trattati con farmaci “potentemente” sedativi; la malattia mentale, complicata o meno dall’uso di sostanze stupefacenti, è legata a etero-aggressività.

Sospetto che il dottor Cerquetti definisca “famigerati” gli Spdc per l’immagine che essi hanno nell’opinione pubblica: luoghi ove si contengono i malati, abuso di farmaci sedativi, rapporti istituzionali distorti tra chi cura e che deve essere curato. Essi nascono come uno dei tasselli del percorso di cura del paziente, dedicato esclusivamente al trattamento dell’emergenza, cioè dell’episodio acuto in una storia clinica che quasi sempre in psichiatria è cronica con esacerbazioni periodiche. La degenza media negli Spdc è di circa sette giorni e i direttori generali, sotto le forche caudine dei Drg, chiedono comunque che venga ridotta, per aumentare il turnover dei pazienti. Spesso gli Spdc, per la incompiutezza dei Servizi territoriali, fanno anche da degenza a medio e lungo termine (accenno soltanto ai detenuti con disturbo mentale riacutizzato che vengono trasferiti e “domiciliati” dal giudice in Spdc, ai pazienti sopra i 65 anni affetti da disturbo mentale con altra patologia, neurologica, internistica, ortopedica, ricoverati in Spdc perché “pericolosi”). In queste condizioni il numero di letti per 100.000 abitanti che la legge prevede sono insufficienti e il lavoro in Spdc diviene frenetico, stressante e usurante. Il problema del trattamento psicofarmacologico è complesso e non può essere ristretto a luoghi comuni come “sedato da non riuscire ad attraversare la strada” o “imbottito di psicofarmaci”.

Lo scopo fondamentale della terapia farmacologica è, nella fase acuta, il miglioramento della sintomatologia presente e nel  mantenimento la prevenzione delle riacutizzazioni: la sedazione, se necessaria in caso di importante agitazione, deve essere limitata al periodo necessario alla sua scomparsa e poi interrotta: questo è quanto viene raccomandato da tutte le linee guida cui ci si deve attenere. Spesso la “dimissibilità” dal Spdc coincide con la risoluzione della fase acuta e, quindi, con l’esaurimento della fase di agitazione, ma non si ha il tempo di aggiustare la terapia in reparto e ciò viene demandato ai colleghi dei Servizi territoriali con i quali ci deve essere stretto collegamento e sintonia, cosa che spesso non avviene. Nel calderone della “sedazione” vengono messi effetti psicofarmacologici collaterali a oggi inevitabili, anche se ridotti rispetto a vent’anni fa: patologie parkinsoniane e di effetti sulla volontà e sullo spirito di iniziativa del paziente, spesso inaccettabili per lui e per la famiglia con conseguente interruzione della terapia. Continuare a esasperare la relazione tra etero-aggressività e malattia mentale non porta contributi, a parte l’incremento della ingiusta stigmatizzazione della malattia mentale.

L’uso di sostanze rende più probabile essere etero-aggressivi, ma l’abuso di sostanze è un problema di interesse psichiatrico? Come da altri problemi di salute mentale (demenze, anoressia nervosa, abuso di alcool, autismo) anche da questo la psichiatria si è in parte volontariamente defilata e in parte è stata invitata a farsi da parte sostituita da altre competenze, salvo poi lasciare agli psichiatri negli Spdc la gestione  delle possibili emergenze, spesso gravissime. In questo modo la psichiatria sta diventando, agli occhi dell’opinione pubblica e delle amministrazioni il controllore (psicofarmacologico aggiungo io) della devianza comportamentale, con poca attenzione alla sua origine e alla sua reale valenza clinica. Chiudo questa lettera con una domanda: quale condomino in uno stabile mediamente signorile in una posizione mediamente buona, accetterebbe che al pian terreno, un appartamento con un piccolo giardino venisse dato in affitto per farne un centro diurno per malati mentali?


Silvio Scarone, psichiatra

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