No, i vaccini non renderanno il virus più pericoloso

Enrico Bucci

Mutazioni casuali e selezione ambientale. Una popolazione virale si evolve, ma non per colpa dei vaccini. Anzi

Di tanto in tanto, riemerge la discussione circa la direzione evolutiva di Sars-CoV-2. La cosa peculiare è che, almeno in Italia, la discussione pubblica di questo interessante problema scientifico è dominata da finalità politiche. E così, mentre l’estate scorsa, in assenza di vaccino, alcuni politici, appoggiati da improvvide dichiarazioni di alcuni clinici, giungevano a dichiarare senza prove non solo che il virus si era trasformato in modo clinicamente favorevole, ma anche che questa era una necessità di natura e dunque un fatto atteso e inevitabile, oggi altri politici, non troppo distanti per area politica dai primi, arrivano a dichiarare che l’utilizzo dei vaccini causa o causerà la trasformazione dei ceppi attuali di virus in qualcosa di più pericoloso, allo scopo di solleticare una platea di potenziali elettori (ma quanti?) socialmente irresponsabile e soprattutto profondamente ignorante con dichiarazioni pseudoscientifiche di poco valore accademico, ma di grande valore elettorale.

  

In realtà, le cose sono molto diverse dalle dichiarazioni di tali politici o dalle elucubrazioni dei frequentatori di social forum. Ricapitoliamo quindi quali possono essere le direzioni evolutive (anche simultanee) che può prendere una popolazione virale.

  

Innanzitutto, l’emersione di nuove varianti a livello di popolazione si basa su due passaggi, entrambi indispensabili: innanzitutto la produzione di forme mutate, un processo totalmente casuale e legato solo al tasso di errore nel generare nuove copie del genoma virale da parte del macchinario molecolare a questo deputato, e poi la loro eventuale selezione favorevole, dipendente dall’ambiente.

  

In questo senso, non esiste una causa specifica della generazione di una particolare variante: il processo è del tutto casuale e governato dalle leggi della probabilità, il che ovviamente implica che più lasciamo circolare un virus, maggiori sono le probabilità di generazione di nuove forme. Né il vaccino, né alcun altro agente, al di fuori di una mutazione intenzionale introdotta da un ingegnere, possono produrre varianti con una funzione orientata a rispondere ad una specifica variazione ambientale; il caso, e solo quello, può portare alla sua comparsa.

 

Solo successivamente la selezione agisce a favorire certe varianti. Se nella popolazione si è diffuso un certo livello di immunità – non importa se con il vaccino, con pochi morti, o naturalmente, con maggior lentezza e molti più morti – le varianti immunoevasive saranno favorite, a parità di capacità infettiva. La pressione selettiva deriva infatti non dal vaccino, ma dal sistema immune, e quindi, prima o poi, tale pressione si eserciterà comunque, che noi usiamo o meno i vaccini. In compenso, la probabilità di comparsa delle varianti, se abbiamo lasciato moltiplicare di più il virus senza usare i vaccini, sarà maggiore.

   

Indipendentemente dalla loro capacità immunoevasiva, poi, le varianti più infettive sono sempre avvantaggiate, vaccini o non vaccini, qualunque cosa accada, e questo spiega l'evoluzione vista finora in SARS-CoV-2 come la stiamo osservando da quasi due anni, con una crescita continua dell’infettività nel tempo.

   

Infine, la virulenza delle nuove forme virali (la loro capacità cioè di causare danno) può sia aumentare che diminuire, in dipendenza delle caratteristiche dell’ospite, del virus e dell’ambiente. Quando la patogenicità del virus non influenza la sua capacità di propagazione, il processo è del tutto casuale, ed in genere giunge ad un punto di equilibrio (che può essere a maggiore o minore patogenicità rispetto al punto di partenza) quando la necessità del virus di moltiplicarsi al massimo all’interno dell’ospite per aumentare la sua probabilità di trasmissione è bilanciata dall’accorciamento eccessivo del periodo di trasmissibilità, dovuto per esempio alla morte dell’ospite: è il caso, per esempio, del Myxoma virus, introdotto in una forma molto virulenta per controllare i conigli selvatici, attenuatosi inizialmente e poi in continua oscillazione intorno ad un fenotipo a virulenza intermedia. Quando invece la virulenza influenza positivamente le capacità di un virus di propagarsi, essa può essere selezionata positivamente: per esempio, quando la trasmissione è per via aerea, un virus che provochi maggiori sintomi come la tosse, attraverso l’attacco ai polmoni, può essere favorito; oppure, nel caso osservato in cui un virus possa essere trasportato dalle mosche che si nutrono dei cadaveri degli animali morti, si può avere un accrescimento della letalità favorevolmente selezionato. In aggiunta, quando un virus ha più specie ospiti possibili, come nel caso di Sars-CoV-2, la letalità per una determinata specie è indifferente alla propagazione del virus, e può anzi essere anche il sottoprodotto dell’adattamento propagativo in un’altra specie. E’ successo, per esempio, con il West Nile Virus, che si è evoluto attraverso una singola mutazione in una forma altamente letale per i corvidi, a causa di un adattamento utile per propagarsi meglio in una ben determinata specie di uccelli, il pettirosso americano.

  

Per quanto detto, se si vuole davvero ostacolare la comparsa di nuove varianti, non resta che una strada: diminuire il numero di infezioni e quindi cicli di replicazione del virus, per evitare che la selezione favorisca ceppi più infettivi (certamente), più immunoevasivi (probabilmente) e più virulenti (impossibile da sapersi). I vaccini (quelli odierni e quelli futuri) sono un mezzo per farlo, se riusciremo innanzitutto a somministrarli velocemente ed in secondo luogo a migliorarli di continuo; essi rappresentano parte del nostro fenotipo esteso, che possiamo mutare per sperare di fronteggiare le mutazioni dei virus. L’altra parte sono i farmaci, che potranno aiutarci a convivere con i virus, se ne troveremo di efficaci; rinunciare agli uni o agli altri significa solo pagare un costo più alto ad un meccanismo, quello della propagazione del virus, che non è affatto benevolo o innocuo perché “naturale”, come sconsideratamente si vuol dare ad intendere, né ha tendenza ad evolvere in direzione a noi favorevole rispetto al punto in cui siamo oggi.

 

Sarebbe certo meglio che i politici badassero agli elementi descritti e pensassero alla salute degli elettori, e non solo a come conquistarne il voto; ma anche i politici sono purtroppo in una gara darwiniana, in cui a vincere non è chi vuole il bene dell’elettore, ma chi ne soddisfa meglio le aspettative e le pulsioni immediate, giuste o sbagliate che siano.

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