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Nel dramma dell'Afghanistan si apre un'emergenza anche in tema di salute

Eva Massari

Povertà e difficoltà di accesso alle strutture sanitarie e igieniche di base stanno aggravando l'emergenza umanitaria nel paese

Sono ormai tristemente note le informazioni, correlate da immagini, che raccontano la drammatica situazione in cui versa l’Afghanistan dopo il più volte annunciato ritiro delle truppe statunitensi. La storia è conosciuta: ci sono state le evacuazioni, le corse folli in aeroporto, i tentativi di scappare da un futuro che sotto l’egida talebana promette una regressione ventennale di tutte le conquiste che con difficoltà erano state raggiunte. Sembra un paradosso, ma per guardare al futuro bisogna proprio osservare gli ultimi vent’anni nei quali con un incessante lavoro si è operato per migliorare le condizioni di vita dei cittadini afghani, con un cambiamento favorevole in particolare per le donne, che si erano finalmente trovate a poter studiare, a lavorare e a occupare posti istituzionali generando una ripercussione positiva su tutta la società. E’ proprio guardando indietro che il futuro sembra troppo incerto: è guardando alle conquiste che il senso di perdita si fa più ampio, e che la paura si fa strada

  
Quella che si sta vivendo in Afghanistan è un’emergenza umanitaria a tutti gli effetti e riguarda certamente anche l’ambito della salute, intendendo con esso lo stato di benessere fisico, mentale e sociale – come indicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità –, ovvero elementi che mancano tutti all’appello, in questo momento. Se si pensa alla salute in senso fisico c’è da chiedersi, e ce lo diranno i dati nei prossimi mesi, quale sia la situazione in un paese in cui, pur tenendo conto del miglioramento delle condizioni di vita, si rilevano difficoltà nell’accesso alle strutture sanitarie ma ancor prima a quelle igieniche di base, dove ci sono livelli allarmanti di povertà e perfino poter contare sull’acqua potabile è un miraggio per milioni di abitanti (140 secondo le stime Save The Children), senza contare il fatto che in Afghanistan l’aspettativa di vita risulta essere di otto anni più bassa rispetto alla media mondiale e di cinque sotto la media dell’Asia meridionale. Se si considera poi che più di metà della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, appare chiaro come siano necessari interventi immediati.


L’Afghanistan è, secondo l’indice di sviluppo umano, il quindicesimo paese meno sviluppato al mondo e si stima che ben oltre la metà della popolazione, che si attesta intorno ai trentotto milioni di abitanti, viva a più di due ore di distanza dall’ospedale più vicino, il che significa che l’accesso alle cure, già difficoltoso in una condizione ordinaria, diventa a dir poco complicato sotto un regime che sta terrorizzando molti cittadini, certamente disincentivati a uscire in condizioni di pericolo. Le organizzazioni umanitarie hanno fatto un lavoro enorme sul territorio in questi anni, sia in ambito clinico che sociale, e c’è davvero da chiedersi cosa sarà di tutto questo impegno, se sarà davvero possibile continuarlo, come ci si potrà occupare dei feriti che aumentano di giorno in giorno, e come rispondere fattivamente a questa emergenza che, va da sé, riguarda non solo il paese ma il mondo intero, in quanto frutto proprio di una politica a livello mondiale. In aggiunta a quanto succitato, va ricordato che non esisteva e non esiste un piano vero e proprio di sviluppo economico e che l’economia informale rappresenta ancora l’80 per cento dell’attività economica totale, col rischio che il ritorno del gruppo fondamentalista dei talebani possa far crollare ulteriormente una situazione già di per sé precaria.


Su questo tema è importante riflettere, perché se da una parte sono importanti gli aiuti che provengono dall’esterno, dall’altra sarebbe fondamentale poter far sì che il paese potesse contare sulle proprie forze per sostenersi: è ovvio che in un momento come questo un’ipotesi del genere sia pura utopia, ma non varrebbe forse la pena ragionare ad ampio raggio per dare un sostegno a un territorio di cui tutti oggi stiamo parlando, ma che rischia di sparire presto dai radar della memoria?

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